Si fa sempre più grave il quadro attorno al caso di Emanuele Micheletti, primario del reparto di Radiologia dell’ospedale di Piacenza, attualmente agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale aggravata e atti persecutori.
Secondo le testimonianze di dottoresse e infermiere, il medico avrebbe instaurato un “sistema collaudato” di soprusi e abusi, andato avanti per oltre 15 anni, e tollerato in silenzio da colleghi e personale sanitario per paura di ritorsioni lavorative.
Micheletti, secondo le accuse, avrebbe trasformato il reparto in un ambiente oppressivo e controllato, dove le donne erano oggetto di attenzioni non richieste, favoritismi ambigui e punizioni subdole. In molte hanno parlato di un vero e proprio “harem” creato nel reparto, nel quale il medico sceglieva chi premiare e chi penalizzare sulla base della sottomissione alle sue pretese.
Colleghi e colleghe, stando a quanto emerge dalle chat interne, erano ben consapevoli della situazione. Si parla di abusi normalizzati, accettati per evitare “vendette” legate a turni massacranti o ferie negate. Le risorse umane, interpellate in alcuni casi, non avrebbero mai agito in modo efficace.
“Il sistema Micheletti è assodato” si legge in un messaggio riportato dal Corriere della Sera. “Ognuno di noi ha accettato in silenzio piccoli o grandi abusi negli anni“, viene confermato nella chat.
Oggi gli abusi del primario sono oggetto di un’inchiesta formale. Tuttavia, la questione fatica a emergere pubblicamente, anche a causa di un consolidato meccanismo omertoso.
Le indagini della Procura di Piacenza hanno documentato, in soli 45 giorni, 32 episodi di abusi attraverso intercettazioni, video e registrazioni audio. Tuttavia, la paura ha spinto alcune vittime a negare i fatti, pur essendo stati documentati.
La svolta è arrivata grazie al coraggio di una giovane dottoressa da poco in servizio. Dopo essere stata molestata nell’ufficio del primario, si è prima rivolta alla direzione dell’ospedale e poi ha sporto denuncia in Questura. La donna ha raccontato di essere stata convocata con la scusa di discutere dei turni, per poi essere palpeggiata. A salvarla, per sua fortuna, l’intervento di un collega che bussò alla porta.
Fonte Foto in evidenza: Fanpage
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