Colafigli, detto il «Bufalo» della banda della Magliana, era in semilibertà ma guidava, dal 2020, dei trafficanti di droga con base alla Magliana. Il gruppo comprava stupefacenti in Colombia e li faceva arrivare a Roma passando per la Spagna, grazie all’aiuto e alla complicità di ‘ndrangheta, camorra, mafia foggiana e di albanesi legati al narcos sudamericano.
Il gip, riguardo all’esigenza di misure cautelari nei riguardi di Colafigli e soci, scrive: “L’autorità criminale indiscussa di Marcello Colafigli, la rilevanza e numerosità dei delitti di approvvigionamento e spaccio compiuti in un breve lasso temporale, i contatti diretti con associazioni criminali di primo piano, i rapporti con ulteriori figure criminali e la risolutezza delinquenziale dimostrata nella pianificazione e realizzazione delle attività di spaccio, offrono plurimi e convergenti elementi ostativi al superamento della presunzione legale di attualità delle esigenze cautelari”.
Il nome del settantenne Colafigli ha un certo peso in questo ambiente: è identificato (insieme a Giuseppucci, De Pedis, Abbatino e Selis) uno dei promotori della banda della Magliana, che ha operato a Roma dalla fine degli anni ’70 all’inizio degli anni ’90. Oltre alla condanna di numerosi ergastoli, Colafigli è stato accusato e ritenuto responsabile del sequestro e omicidio del duca Massimo Grazioli Lante della Rovere avvenuto nel 1977. Quest’assassinio ha segnato l’azione con cui la banda ha cominciato la sua attività criminale.
Inoltre, Colafigli è stato condannato anche perché mandante dell’omicidio di Enrico De Pedis, detto «Renatino», un altro boss della banda. Quest’ultimo ha subito un’imboscata con la complicità di Angelo Angelotti, «il Giuda», nel febbraio del 1990, in una bottega antiquaria di via del Pellegrino, in cui ha trovato la morte.
Il «Bufalo», per di più, era stato rinchiuso in un manicomio ad Anversa, dopo aver giustificato il suo prendere parte a un agguato a Roma avvenuto nel 1981 come un tentativo di vendetta per l’uccisione di Franco Giuseppucci, detto «Er Fornaretto», perché quest’ultimo gli era apparso in sogno chiedendogli di uccidere i fratelli Proietti, i presunti responsabili del suo omicidio.
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