SCIACCA – Il nostro viaggio oggi ci porta alla scoperta “dell’isola che non c’è”. Chi scrive è sana di mente, tranquilli, andremo alla scoperta dell’Isola Ferdinandea, nello specchio di mare antistante la città di Sciacca (Agrigento).
Emersa nelle acque del mare di Sciacca il 12 luglio 1831, si inabissa appena cinque mesi dopo. A essa vennero dati diversi nomi: Graham, dagli Inglesi; Giulia, perché emersa a luglio; Ferdinandea, da Ferdinando II; Giulia-Ferdinandea; Nerita, dal colore delle rocce; Hotham.
Si racconta che per una settimana il mare venne scosso con violenza e che la terra tremò da Sciacca a Palermo. Le prime notizie del fenomeno le fornì il capitano Giovanni Corrao, comandante del brigantino napoletano “La Teresina”: alla distanza di una ventina di miglia fra la località Capo San Marco e Sciacca, notò una colonna di vapori.
Fra i primi curiosi o appassionati visitatori sembra che ci sia stato anche il giovane Giuseppe Garibaldi.
Emersa l’isola, immediatamente fra Inglesi, Francesi e Borboni si accese una gara internazionale che nascondeva interessi politici e malcelate mire territoriali. Già il 2 agosto 1831 era sul posto il capitano inglese Sanhouse, che battezzò l’isola col nome di Graham, in onore di un personaggio inglese allora molto noto, e che riferì di avervi piantato la bandiera inglese. Un mese dopo, il geologo Carlo Gemellaro, segretario dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali di Catania, mise in dubbio che egli avesse potuto approdare su quello che era ancora un ammasso di ceneri e scorie calde e riferì di essere arrivato sul posto nove giorni dopo l’inglese, ma di non aver trovato tracce di bandiere. Al suo arrivo rivelò che il vulcano aveva raggiunto un’altezza di 110 palmi (circa 27 metri) e una circonferenza alla base di mezzo miglio; riferì anche che la forma dell’isola cambiava di giorno in giorno in base ai materiali eruttati e all’azione del mare.
Il 17 agosto 1831 Ferdinando II di Borbone incluse la terra fra i suoi domini e le diede il nome di Ferdinandea, proposto da Gemellaro.
Vista da lontano sembrava formata da due promontori con al centro un cratere. L’eruzione cessò verso la fine di agosto e, a partire da settembre, l’isola cominciò a essere demolita dall’azione delle onde; alla fine di ottobre la nave di Francesco I, inviata dalle autorità borboniche, non trovò dell’isola che “la superficie ed un’altura a levante”: al posto del cratere c’era un piccolo lago salato poco profondo da cui fuoriuscivano continue emissioni gassose. Fra l’autunno e l’inizio dell’inverno, lo sprofondamento del cratere proseguì inesorabilmente, tanto che l’8 dicembre del 1831 il capitano Vincenzo Allotta, in mare col brigantino Achille, non trovò più nulla, e la sparizione fu confermata qualche giorno dopo, il 17 dicembre, da due ufficiali borbonici.
Oggi sul luogo dell’affioramento-inabissamento c’è un cono vulcanico sottomarino di mezzo chilometro di diametro, la cui sommità si eleva fino a 8 metri sotto il livello del mare: è la pericolosa secca che le carte nautiche, elaborate dagli Inglesi e che hanno valore internazionale, chiamano Banco di Graham.
Il nostro viaggio alla scoperta dell’”isola che non c’è” finisce qui, continuate a seguirci, sempre alla scoperta di nuove meraviglie.
Letizia Bilella
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Letizia, perito commerciale, studia Beni Archivistici e Librari. Insomma, una donna agli antipodi. Ama i libri sia come contenitore, sia per il contenuto. Dal 2010 collabora con un settimanale della sua provincia (AG) e con varie testate giornalistiche della sua zona, occupandosi di cultura, spettacolo e in alcuni casi anche di politica locale. Nel suo comune (Burgio) fa la guida turistica e collabora anche attivamente con l’Amministrazione Comunale nell’organizzazione di eventi. Ama tutto quello che è arte e dunque ama scrivere. Il suo primo romanzo è in correzione presso un editore: incrociamo le dita.