Sciacca è la città delle leggende e dei miraggi: da Dedalo che costruisce le famose “Stufe di San Calogero” sul monte Kronio, all’isola Ferdinandea che sbuca dalle acque e si inabissa dopo poche settimane.
Un tempo in città viveva una comunità ebraica che contava circa 1300 anime: erano commercianti e banchieri che facevano affari con i mercanti cristiani. La Giudecca di Sciacca, chiamata “Cadda”, era assai numerosa. La presenza degli ebrei si attesta a Sciacca fin dal 1295, quando il carmelitano Sant’Alberto passando per questa città ne convertì un buon numero alla fede cattolica. Si parla degli ebrei nelle antiche consuetudini: i cristiani non potevano sedersi a mensa con loro, oppure accompagnarvisi. Chi aveva rapporti intimi con loro era considerato fedifrago o ribelle spudorato. Trattandosi dell’uso dei bagni termali è detto che il venerdì era destinato per i soli ebrei, i quali non potevano bagnarsi che in questo giorno soltanto.
La Giudecca era elencata per importanza, immediatamente dopo quella di Palermo, e in Sicilia era una delle principali.
Un donativo offerto da Re Alfonso recita che sono tassati per 37 onze quelli di Palermo e per 18 onze quelli di Sciacca. La comunità ebraica di Sciacca si presentava assai numerosa, il ghetto era molto numeroso e formava un vero sobborgo; oggi è l’attuale quartiere Cittadella, in cui centro era il cortile Cattano e si estendeva fino alle mura di Vega e propriamente nel sito di Santa Venera dove una grotta è considerata la Moschea (Sinagoga) all’interno della quale i rabbini uccidevano gli animali e circoncidevano i bambini.
La città di Sciacca in passato ebbe non solo contatti con gli ebrei, ma un folto numero si stabilì nel suo territorio.
La parola “ebreo” in città suona in modo dispregiativo “uomo senza cuore”, “nemico di Dio e dell’umanità”, “portatore di rovine”. Si ricorda che quando il popolo si raccoglieva nell’atrio del monastero delle Giummare per festeggiare la Domenica delle Palme, la badessa del monastero nel dare l’indicazione affinchè ognuno potesse prendere i rami d’ulivo legati al ceppo della croce, sporgendosi dalla finestra centrale della facciata della chiesa, gridava: “Popolo ebreo, assalite le palme“.
La gente si scatenava e si assisteva ad uno spettacolo indecoroso che finiva in lite violenta.
Un cimitero molto spazioso sorgeva sulla rocca San Paolo, nei pressi dell’attuale porto.
Gli ebrei di Sciacca svolgevano tutti i mestieri, compreso quello dell’accattone; il commercio è la loro massima occupazione. Tra le carte dell’archivio notarile di Sciacca si trovano delle contrattazioni siglate firmate in ebraico. Il vescovo Bartolomeo Lagumina di Agrigento, provetto numismatico ed insigne paleografo –creatore della Storia dell’ebraismo in Sicilia – decifrò queste scritture e le dichiarò di inestimabile valore.
Nella città di Sciacca sorsero diverse sinagoghe: una era sita vicino l’attuale Porta Palermo, sul lato ovest, l’altra nella via Cittadella, nei pressi del cortile Cattano –ora casa del fu Cav. Saverio Gallo. In un angolo esterno di questa si scorgono in alto due sporgenze in pietra viva che mostrano due fori dove gli ebrei inserivano l’asta dei loro vessilli che esponevano in occasioni solenni.
Un’altra sinagoga sorgeva nei pressi della chiesa di San Leonardo nello stesso luogo dove sorgeva un tempio pagano dedicato a Mercurio che fu usato prima dai Saraceni; in loro omaggio gli ebrei chiamarono questa sinagoga “Moschea”.
La comunità di Sciacca aveva sacerdoti propri denominati “Cassen” o “Hassen”, Rabbini, Giudici Spirituali, Maniglori detti Sagrestani.
Portavano come distintivo una rotella rossa che fu imposta da Federico III con la costituzione del 12 ottobre 1366; le donne portavano questa rotella rossa appuntata sul manto. In città godettero di molti privilegi. Re Martino nel 1399 li volle proteggere emanando un decreto che puniva di lesa maestà coloro che li offendevano. Ai quaresimalisti della matrice venne imposto di non inveire contro gli ebrei, specialmente durante la Settimana Santa e per tale disposizione ottennero due rescritti del Vicerè: una del 16 marzo del 1486 e un altro del marzo del 1487.
Il popolo ebreo si occupava della guardia notturna alle mura della città, ma poiché venne ritenuto un servizio assai gravoso ne furono esentati da re Martino con un rescritto del 28 dicembre del 1398.
Venne un tempo, però, in cui abusarono di tutte queste indulgenze ottenute e divennero grandi usurai macchiandosi di atroci delitti; diventarono esosi a tutta l’isola tanto che in vari punti avvennero veri tumulti di eccezionale gravità.
In previsione di mali più grandi, Ferdinando il Cattolico volle cacciarli dall’isola e sebbene gli fosse stato offerto un donativo di 3000 monete d’oro per non essere molestati, il re non si fece convincere ed emanò un decreto firmato a Granada il 30 gennaio del 1492, che nella città di Sciacca venne reso pubblico il 18 giugno giorno dei festeggiamenti in onore di San Calogero, patrono della città. Smisurata fu la gioia del popolo.
Nel 1492 si compì l’espulsione degli ebrei, il sobborgo della Cadda, considerato ghetto di Sciacca, passò in mano ai cristiani che da quel momento iniziarono ad abitarlo. Da quell’epoca gli ebrei non misero più piede a Sciacca.
Crediamo davvero che siano andati tutti via? O come qualcuno insinua, cambiando nome, rimasero in città?
Letizia Bilella
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Letizia, perito commerciale, studia Beni Archivistici e Librari. Insomma, una donna agli antipodi. Ama i libri sia come contenitore, sia per il contenuto. Dal 2010 collabora con un settimanale della sua provincia (AG) e con varie testate giornalistiche della sua zona, occupandosi di cultura, spettacolo e in alcuni casi anche di politica locale. Nel suo comune (Burgio) fa la guida turistica e collabora anche attivamente con l’Amministrazione Comunale nell’organizzazione di eventi. Ama tutto quello che è arte e dunque ama scrivere. Il suo primo romanzo è in correzione presso un editore: incrociamo le dita.