SCIACCA (AG) – Sciacca non è lontana dalla cittadina di Burgio, eppure si sottovaluta questa meraviglia di posto, non solo dal nome, di cui oggi vogliamo raccontarvi: il “Castello Incantato”, ma sarebbe più opportuno chiamarlo “il Giardino Incantato”. Un posto magico, unico al mondo: Parigi è Tour Eiffel, Roma è Colosseo, Sciacca è Castello Incantato.
Varcando il cancello si viene catapultati in un posto da favola, tanti volti ti osservano, alcuni ti sorridono, altri hanno un’espressione meno cordiale; più di 3000 teste e volti scolpiti nella pietra e in ulivi secolari. Volti che mutano d’aspetto col mutare delle stagioni: la pioggia, il vento, di anno in anno ne trasformano l’aspetto. Ma chi è l’artefice di tutto questo? Un solo uomo, semplice, figlio di umili pescatori: Filippo Bentivegna. Magari ai nostri lettori non dirà nulla, è un nome come un altro, ma da grandi critici d’arte questo piccolo grande uomo fu riconosciuto come il maggiore esponente dell’Art Brut in tutto il mondo. La vita stessa di Filippo Bentivegna, chiamato dai suoi concittadini “Fulippo di li testi” (Filippo delle teste), è definita “pazza”, ha dell’incredibile.
Filippo nasce a Sciacca nel 1888 da una famiglia di pescatori, mestiere che intraprende sin da bambino. Dopo molte vicissitudini emigra negli USA, nel 1913, dove già vivevano un fratello e una sorella. A Boston, dove vive, fa il pescivendolo, il barbiere, il sarto e anche il pugile per scommessa nella categoria “pesi leggeri”. Durante questi incontri di boxe conosce un altro pugile, molto famoso all’epoca, Johnny Dundee (alias Giuseppe Curreri, di Sciacca). In America si innamora di una ragazza, ma la relazione viene osteggiata – non si sa bene se da un rivale o dal fratello di lei – tanto che viene aggredito e subisce un trauma cranico che lo riduce in coma per qualche giorno. Sempre in America, lavora alla costruzione della ferrovia che andrà ad unire le due coste degli Stati Uniti; è proprio in quella occasione che imparerà l’arte dello scalpellino.
Conosce gli Indiani d’America e si relaziona in maniera benevola con loro, scolpirà molti Totem in legno; sarà un incontro che porterà sempre nel cuore, tutte le sue “teste” avevano il volto dipinto di rosso. La vita in America non fa per lui, non riesce ad adattarsi, e nel 1919 (anche “calorosamente” invogliato dal fratello, con la scusa di tornare per accudire gli anziani genitori), Filippo ritorna a Sciacca. Rimpatriato, viene arrestato per renitenza alla chiamata alle armi (era da poco finita la Prima Guerra Mondiale); ma lui non aveva ricevuto nessun dispaccio: era in America. Tuttavia, considerate le sue condizioni psichiche, la pena gli viene condonata. Non si sposerà mai, vivrà accudendo l’anziana madre. Con i soldi guadagnati oltreoceano e una modesta pensione acquista un podere, dove tutte le mattine si reca a lavorare – in orari che oggi potremmo definire “d’ufficio” – ; la sera torna a casa. Non è un “eremita”, come tanti lo dipingono, ha una vita sociale di tutto rispetto. In questo podere passa il suo tempo a scolpire pietre e legno, a dipingere e a lavorare l’argilla. La stragrande maggioranza delle sue sculture sono “teste”, che lui umanizza, dando loro un nome e dialogando con esse. Durante il tragitto da casa al podere (sempre a piedi, non ha mai accettato un passaggio da nessuno), raccoglie tutte le pietre che trova; i massi troppo grandi li scolpisce “in loco”. Le sue opere sono bellissime.
La sua produzione in ceramica (ormai persa) si confà di creature marine: pesci e sirene. Di Totem in legno ne è rimasto un solo esemplare: uno spettacolo. Filippo era un artista famoso già quando era in vita. Negli anni ’50 il pittore Lilistrom giunge a Sciacca per visitare il “giardino di Filippo”. Non è stata impresa facile per lui, all’inizio viene cacciato diverse volte fino a quando riesce a conquistarsi la fiducia di Bentivegna, che addirittura lo “nomina” principe. Ovviamente il “re” è lo stesso Filippo, con tanto di scettro. Svedese organizza la prima e unica mostra a Sciacca su Filippo Bentivegna e le sue opere. La città non risponde: nessun saccense va a visitarla. Arrivano, però, giornalisti da tutto il mondo per documentare l’evento. La rivista Life manda Tony Vaccaro a fotografare il tutto. Le “teste” di Filippo fanno il giro del mondo, rappresentano in pieno lo stile dell’Art Brut.
Artisti di tutto il mondo, critici d’arte e intellettuali, sono estasiati da quello che “Re Filippo” realizza. Un artista poliedrico, Filippo, non un pazzo come i suoi concittadini lo considerano. Un posto magico “Castello Incantato”, dove il tempo si ferma mentre tu passeggi tra quei viottoli coi muretti a secco o entri all’interno di bellissime grotte naturali. Un salto indietro nel tempo, un piccolo regno fatato all’interno di una città che si muove veloce e che forse non ha ancora dato la giusta collocazione al suo cittadino più illustre. Chissà magari un giorno, non troppo lontano, potrà essere “Sciacca Terme: città di Filippo Bentivegna, padre dell’Art Brut”.
Letizia Bilella
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