Il mondo del lavoro evolve e il fabbisogno di profili professionali STEM aumenta. Ma i laureati STEM continuano a essere meno del 30% nei Paesi europei oggetto della ricerca (Italia, Spagna, Malta, Grecia, UK, Francia e Germania) e nel nostro Paese solo il 24,5% dei laureati è STEM, mentre tra le laureate solo circa il 15% ha scelto studi STEM.
In Italia il 44% delle imprese ha già avuto difficoltà a trovare candidati con formazione STEM. È quanto emerge dallo studio al centro della seconda edizione dell’Osservatorio STEM “Rethink STE(A)M education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” promosso da Fondazione Deloitte e dal Programma di Politiche Pubbliche di Deloitte. Lo studio si è basato sulla somministrazione di 2.650 interviste a studenti, giovani occupati, Neet e 26 approfondimenti con esponenti del mondo accademico e dell’imprenditoria di sette diversi Paesi (Italia, Grecia, Malta, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito).
«Il mondo del lavoro sta cambiando in fretta e le competenze STEM saranno cruciali per le nuove generazioni», spiega il Presidente di Fondazione Deloitte, Guido Borsani, nel presentare la ricerca. «Nonostante questo trend sia chiarissimo, è ancora limitato il numero di giovani, e soprattutto di ragazze, che sceglie un percorso di studi STEM. Lo avevamo visto nella prima edizione del nostro Osservatorio e continuiamo a vederlo a distanza di due anni in questo studio in cui abbiamo allargato il campo di osservazione ad altri Paesi europei».
Nonostante la crescita di domanda di professioni STEM, l’educazione terziaria tecnico-scientifica è scelta da una minoranza degli studenti europei. Solo il 26% del totale dei laureati nei Paesi esaminati e circa il 15% delle donne possiede un titolo di studio di questo tipo. Una tendenza rimasta quasi inalterata negli ultimi 5 anni, in cui solo la Germania spicca per una più elevata percentuale di laureati STEM: 4 laureati tedeschi e 2 laureate tedesche su 10 possiedono un titolo di studio tecnico-scientifico.
Gli ostacoli sulla strada verso le STEM iniziano a presentarsi nei gradi di istruzione inferiore e si riflettono in particolare nel passaggio dalla scuola superiore all’università. Tale transizione è considerata “difficile” da almeno il 30% degli intervistati e delle intervistate: il 41,6% degli studenti e il 40,9% dei Neet, infatti, lamenta la mancanza di adeguate figure di riferimento per l’orientamento. In assenza di una “guida”, le giovani e i giovani scelgono soprattutto in base alle indicazioni dei familiari, che spesso, però, si basano sull’esperienza di conoscenti o parenti e non su una oggettiva informazione relativa al mercato del lavoro o sul possibile contributo che potrebbero dare alla società.
Così, molti ragazzi e ragazze rimangono intrappolati in vecchi stereotipi e sono frenati dal bias secondo cui le materie STEM sono più difficili e richiedono più tempo e risorse economiche. Oltre a questo, persiste l’idea che siano materie non adatte a tutti e, secondo alcuni, non adatte alle ragazze: la nostra ricerca evidenzia infatti che il 50% delle studentesse intervistate riconosce la presenza di stereotipi di genere che disincentivano le donne rispetto all’avvio di un percorso di studi in ambito STEM, mentre il dato scende al 24% se gli intervistati sono studenti maschi.
Mentre i percorsi scolastici e accademici formali rischiano di non essere adeguate ai tempi, le grandi trasformazioni globali evolvono in fretta e l’assenza di “candidati STEM” rappresenta una carenza che può compromettere lo sviluppo di soluzioni adeguate a sostenere una transizione digitale, ambientale, sociale ed economica. Ad esempio, circa il 55% delle organizzazioni intervistate ha già avuto difficoltà a trovare candidati giusti per ricoprire posizioni ICT. E, interrogate sulla difficoltà di reperire profili professionali STEM, il 44% delle aziende italiane sondate ha affermato di aver già avuto qualche difficoltà a riguardo.
Una potenziale soluzione al gap di competenze scientifiche e tecnologiche potrebbe arrivare da percorsi di formazione offerti da organizzazioni informali, quali, ad esempio, boot camp, programmi accademici, hackathon. Ma mentre l’esigenza di “reskilling” è sempre più pressante e destinata a impattare su più della metà della popolazione attiva, gli italiani sono ancora scettici sui percorsi di formazione “informali”. Il 52% degli intervistati nel nostro Paese, infatti, non è a conoscenza dell’esistenza di questi percorsi formativi e solo il 4% dei datori di lavoro seleziona attivamente personale che ha scelto questi percorsi.
Come era già emerso nella prima Edizione dell’Osservatorio STEM e dall’analisi di AlmaLaurea sui profili e Condizione occupazionale dei laureati in Italia le donne sono una minoranza all’interno del mondo STEM. Ma il gender gap è un problema diffuso non solo nel nostro Paese: come evidenziato dalla seconda edizione dell’Osservatorio STEM, nei Paesi considerati le donne rappresentano in media meno di un terzo del totale dei laureati STEM. Allo stesso tempo, però, in tutti i Paesi le donne rappresentano dal 50% al 60% del totale dei laureati in generale. In altre parole: mentre nelle università si rileva una presenza sempre maggiore di laureate, le facoltà STEM rimangono a prevalenza maschile.
La differenza tra uomini e donne, però, arriva a percentuali molto diverse a seconda delle discipline considerate. Ad esempio, se si prende in esame la presenza femminile all’interno delle facoltà di scienze naturali il gender gap è sostanzialmente chiuso: qui, in media, le donne rappresentano quasi la metà (48%) sul totale dei laureati. Al contrario, se si considera il settore ICT, le donne sono ancora in netta minoranza e rappresentano, in media, il 20% dei laureati. Leggermente migliore la situazione nelle facoltà di ingegneria, dove, comunque, la presenza femminile in media non supera il 30%.
A incidere sulla presenza femminile sono bias cognitivi e percettivi, stereotipi culturali, ma anche la mancanza di visibilità e riconoscimento nello spazio pubblico per il contributo che le donne hanno dato alla scienza e alla tecnologia. La assenza di esempi e di “role model” relativi alle donne STEM, infatti, non fa che rafforzare gli stereotipi e la narrativa secondo cui le donne non sono inclini alle materie STEM “per natura”. Fenomeno che ha portato Fondazione Deloitte a prendere la decisione di donare alla città di Milano una scultura raffigurante Margherita Hack, la prima in Italia dedicata a una scienziata. Con questa iniziativa Fondazione Deloitte ha voluto dare il suo contributo nel dare visibilità e riconoscimento alle donne STEM.
In che modo, dunque, il Covid-19 ha inciso sull’apprendimento dei giovani e sui loro percorsi di studio? Molti degli studenti sono stati colpiti dalla crisi economica scatenata dal Covid-19 e parte di questi ha dovuto interrompere gli studi per trovare un lavoro. Il 34% ha dovuto rinunciare a una esperienza di studio all’estero. Il 15% ha rinunciato agli studi in un luogo diverso dalla propria città natale.
Altro tema rilevante è quello dell’efficacia della “didattica a distanza”. Il 48% confessa di essere stato più tentato di copiare e il 46% pensa che, in generale, le lezioni siano meno efficaci. A complicare le cose, poi, ci sono le difficoltà di accesso a infrastrutture tecnologiche e a dispositivi elettronici – una criticità che non riguarda tutti allo stesso modo e che ha amplificato le disuguaglianze sociali.
«Per incentivare le giovani e i giovani ad avvicinarsi alle STEM, istituzioni pubbliche, mondo dell’istruzione, imprese, famiglie e organizzazioni del terzo settore devono essere i primi a fare un passo nell’aprire la strada al cambiamento. Tutti possono dare un grande contributo nell’abilitare soluzioni concrete finalizzate a promuovere il progresso e l’equità sociale, dentro e attraverso le STEM. LoLe aree di intervento su cui agire, come illustrato nel nostro studio, sono tre: aumentare la consapevolezza sulle STEM, eliminare le barriere socio-economiche e ripensare il talento in ottica di ibridazione STEM delle competenze», conclude Guido Borsani.
Giulia Bergami
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Nata nel 1996 a Bologna, Giulia Bergami ha una missione nella vita: raccontare il mondo che la circonda.Laureata nel 2018 in Scienze della Comunicazione a Bologna, prosegue i suoi studi conseguendo nel 2020 il titolo magistrale nella facoltà di Management e Comunicazione d’Impresa di Modena e Reggio Emilia con una tesi sperimentale sulla CSR e la Responsabilità Sociale d’impresa nell’industria farmaceutica. Da quasi 5 anni collabora con alcune testate giornalistiche del territorio per raccontare le persone di Bologna, le loro vite, i successi e le sfide quotidiane, meglio ancora se giovani, intraprendenti e con la voglia di “spaccare il mondo”. Al contempo, lavora nella Comunicazione d’Impresa e delle Media Relations in ambito salute. Sia per supportare il lavoro delle associazioni pazienti sia a fianco di aziende e altre realtà del settore. Forse non sarà l’Oriana Fallaci 2.0 del futuro, ma intanto è così “famosa” da avere una biografia su internet. Prossimo passo? Una pagina di Wikipedia interamente dedicata a lei.