Quando agli inizi del Settecento fu concepito e cominciò a diffondersi, il copyright aveva lo scopo di tutelare, e a buon diritto, la proprietà intellettuale di quegli scrittori, compositori, drammaturghi che, consegnando le proprie opere al pubblico, meritavano tuttavia una ricompensa al proprio talento e sforzo creativo. Originariamente valido per un periodo di quattordici anni, il diritto d’autore non è, però, per sempre, e non può che avere un valore temporaneo. Se non si può negare, infatti, che ogni autore debba poter vivere dei frutti del proprio intelletto, è altrettanto vero che ogni opera, sia essa letteraria o d’altro genere, deve contribuire alla diffusione della conoscenza, cosicché il genio intellettuale dei pochi possa diventare patrimonio culturale e identitario dell’umanità. Ma come funzionano ai giorni nostri le leggi sui diritti d’autore?
Delle opere divenute di pubblico dominio all’inizio di questo nuovo anno, soltanto poche possono essere ritenute d’importante rilievo storico e culturale: tra queste è possibile annoverare “La guerra dei mondi” del noto autore di fantascienza H.G.Wells, e gli scritti della poetessa statunitense Gertrude Stein, ma anche i libri del famoso economista John Keyne. A partire dal primo gennaio, quindi, ogni cittadino in Europa è formalmente libero, se lo desidera, di pubblicare online o su carta, tradurre, riprodurre, parzialmente o integralmente, il lavoro creativo e letterario di questi intellettuali. Secondo le norme in vigore nell’Unione Europa, infatti, i diritti di copyright non possono essere tutelati oltre il settantesimo anno dalla morte dell’autore, e si spiega quindi perché ogni primo dell’anno, apostrofato per tale ragione Public Domain Day, migliaia di opere letterarie, musicali, teatrali e cinematografiche diventino di pubblico dominio.
Non tutti i Paesi del mondo possiedono, tuttavia, le medesime normative in materia di diritti d’autore. In Cina, Nuova Zelanda e Canada, per l’appunto, la proprietà intellettuale si estende per cinquant’anni dalla scomparsa dell’autore, tanto che si possono considerare patrimonio comune, e, di fatto, riproducibili, tutte le opere di autori morti nel 1966, quali, ad esempio, lo scrittore Elio Vittorini, il poeta francese André Berton, il pittore italiano Carlo Carrà, gli autori Flann O’Brien ed Evelyn Waugh. In Canada e Nuova Zelanda la normativa potrebbe, però, essere mutata in seguito ad un accordo commerciale siglato con gli Usa, patto che prevede l’estensione del copyright a settant’anni. Più controversa e, certamente, emblematica è la situazione negli Stati Uniti, dove le norme decisamente più severe e restrittive non consentiranno a nessuna importante opera di diventare patrimonio dell’umanità fino al 2019. Pomo della discordia, anche se non unico responsabile, è senza dubbio Topolino. Sì, proprio il buffo topo dalle grandi orecchie, frutto della fantasia di Walt Disney, avrebbe spinto l’amministrazione americana a rimandare il temuto ma inevitabile momento in cui la Walt Disney Corporation avrebbe dovuto dire addio ai diritti sul famoso e remunerativo personaggio. Le leggi attuali prevedono, quindi, che tutte le opere pubblicate prima del 1923 siano, di fatto, di dominio pubblico, mentre per quelle pubblicate dopo il 2002 vale la regola dei settant’anni dalla morte dell’autore, eccezion fatta per le aziende alle quali è consentito detenere i diritti di copyright per novantacinque o anche centoventi anni. E così, mentre si tutelano i privilegi di pochi, il patrimonio culturale dell’umanità dovrà aspettare ancora a lungo.
Debora Guglielmino
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