Lo stress causato dal troppo lavoro può uccidere? Tanti sono convinti che tale affermazione sia solo frutto di una mera esasperazione mediatica e medica al contempo, eppure non è così: la Cina, infatti, lo sa bene. Il 996 sta mietendo nella terra che un tempo fu solcata in lungo e in largo da Mao Tze-Tung tantissime vite: la cifra in questione, nel gergo economico – laburista locale, indicherebbe un orario di lavoro che va dalle 9.00 alle 21.00 da ottemperare per 6 giorni su 7 disponibili nell’arco della settimana. Un simile ritmo, del resto, sembrerebbe raddoppiare la produttività sul posto di lavoro, ma – parallelamente – secondo quanto riporta repubblica.it – contribuirebbe alla morte di tanti lavoratori. Questa “epidemia” inoltre non risparmierebbe nessuno; alti dirigenti, CEO di importanti aziende, commessi, operai e venditori ambulanti: sono tutti vittime del 996.
Ma chi è stato il fondatore di questa ferrea routine lavorativa? La teoria più accreditata vedrebbe in Jack Ma, ex professore d’inglese, ad oggi detentore del colosso mondiale Alibaba, il Dalai Lama dell’iper produttività. Mister Ma, con i suoi 25 miliardi di capitalizzazione al suo debutto a Wall Street nel 2014, avrebbe fomentato al massimo la speranza di piccoli e medi imprenditori di divenire, un giorno, anch’essi mostri dell’economia. C’è anche da dire che, purtroppo o per fortuna, nascono 1,2 aziende al giorno e che non tutte possono trovare El Dorado, immediatamente o ancor peggio mai.
Questo fenomeno, comunque, non trova manifestazione concreta solo in Cina, bensì pure in Giappone. Nella terra del sol levante esso è già conosciuto con il nome di Karoshi e non è per nulla sporadico o ridotto, anzi per rendersi conto di come sia qualcosa di costante basta pensare che il Governo nipponico ha ufficialmente stilato un White Paper (documento stilato dal’ Esecutivo – nel caso specifico – al fine di rendere ufficiale un rapporto o una relazione) a tema e che, in Giappone, si lavora fino ad 80 ore in più rispetto a quanto previsto dagli standard lavorativi. Gli esperti di sociologia del lavoro, dal canto loro, avevano delineato questa terribile prassi già negli anni ’60, senza però ottenere alcun ascolto.
Ad accomunare il Karoshi e il 996 sono le morti per suicidio dovuto a psico-patologie create dal troppo lavoro, drastici indebolimenti dei sistemi immunitari dei lavoratori e alienazione totale dal resto della vita che viene, inevitabilmente, inquadrata in un ottica squisitamente nichilista che pone il lavoro al di sopra della persona come tale. Tra la piaga giapponese e quella cinese, però, vi sono è una differenzia sostanziale: la prima è esclusiva dedizione alla propria mansione all’interno della società con conseguente sviluppo di un alto senso di competitività tra colleghi, la seconda invece, oltre l’impegno e l’agonismo, rappresenta l’infinita sete di denaro e la smania di crescere sempre di più fino a dominare il settore dove si opera, prodotto di una Cina reduce dal regime di Dien Xiaoping, ispirato al grande successo e boom economico che ebbe la Silicon Valley, Mesopotamia di colossi dell’economia mondiale come, ad esempio, la Apple.
Francesco Raguni
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