Il Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2022 è giunto alla sua quarta edizione e presentato a Roma in occasione della Conferenza Nazionale sull’economia circolare. Il documento è stato realizzato dal Circular economy network (Cen), la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile assieme a un gruppo di aziende e associazioni di impresa, in collaborazione con Enea. Il contributo italiano all’economia circolare è stato valutato in confronto con le altre principali quattro economie europee (Germania, Francia, Spagna e Polonia). La valutazione di questi 5 Paesi è stata fatta stilando una classifica di circolarità basata su sette indicatori. Il tasso di riciclo complessivo dei rifiuti, urbani e speciali; il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo; la produttività delle risorse; il rapporto fra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali; la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo di energia; la riparazione; il consumo di suolo. Con 19 punti, Italia e Francia fanno registrare le migliori performance di circolarità; segue la Spagna con 16 punti, Polonia 12, e Germana 11.
Come si evince dal rapporto, e come verrà analizzato per punti nella seconda parte dell’articolo, l’andamento dell’Italia è stato sostanzialmente positivo, anche se manca ancora il disaccoppiamento tra crescita del PIL e uso di materie prime.
Disancorare la crescita economica dal consumo delle materie prime vergini è l’obiettivo strategico dell’economia circolare e del Green Deal europeo. La conversione verso modelli di produzione e di consumo circolari è sempre più una necessità non solo per garantire la sostenibilità dal punto di vista ecologico, ma per la solidità della ripresa economica, la stabilità dello sviluppo e la competitività delle imprese. In Italia non si è riscontrato negli ultimi cinque anni quel disaccoppiamento tra PIL e consumo di materiali che indicherebbe buone performance di circolarità dell’economia. Partendo da un valore pari a 100 per il 2017, troviamo che al 2019 il PIL è a 101 e le importazioni nette di materiali a 99, per allinearsi sostanzialmente nel 2021.
L’Italia è riuscita a contenere i danni e migliorare alcuni indicatori di circolarità meglio di altri Paesi. In Italia la riduzione pro capite dell’uso delle materie prime è stata la maggiore tra i Paesi considerati: il 36% seconda la Spagna che ha registrato il 27%.
Nel 2020 per nessuno dei cinque principali Paesi europei si è registrato un incremento nella produttività delle risorse. In Europa nel 2020, a parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorse consumate sono stati generati 2,1 euro di PIL. Mentre, l’Italia è arrivata a 3,5 euro di PIL (il 60% in più rispetto alla media UE).
Viene definito come il rapporto tra l’uso circolare di materia e l’uso complessivo (cioè l’uso proveniente da materie prime vergini e da materie riciclate). Il tasso di utilizzo circolare di materia raggiunto dalla Ue nel 2020 è stato pari al 12,8%. In Italia il valore ha raggiunto il 21,6% posizionandosi in quarta posizione nell’Unione Europea dietro ai Paesi Bassi che raggiungono il 30,9%, il Belgio 23% e la Francia 22,2%.
Per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile utilizzata sul consumo totale lordo di energia, in Europa si è registrato un trend crescente di circa il 5% tra il 2010 e il 2019, arrivando all’ultimo anno di analisi al 19,7%. Tra i cinque Paesi osservati, quello con la quota maggiore di energia rinnovabile sul consumo totale lordo di energia è la Spagna (18,4%), seguita dall’Italia con il 18,2%. Con valori simili alle due economie appena citate, in terza e in quarta posizione si trovano, rispettivamente, Germania (17,4%) e Francia (17,2%). Più staccata rispetto ai Paesi appena elencati si posiziona la Polonia, con una quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo pari al 12,2%.
Per l’Europa la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti nel 2018 è stata pari al 35,2% (cioè 822 Mt). La quota rimanente è stata avviata a recupero energetico (130 Mt) o a smaltimento in discarica (970 Mt).
In Italia la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti ha quasi raggiunto il 68%: è il dato più elevato dell’Unione europea con un incremento di 9 punti percentuali tra il 2010 e il 2018 a fronte di una media europea pressoché invariata. Inoltre, secondo Food & waste around the world, la prima indagine globale sul rapporto fra cibo e spreco firmato da Waste Watcher, gli italiani sono tra i più virtuosi.
Quanto ai rifiuti speciali (quelli prodotti da industrie e aziende) i dati del 2018 indicano che nell’Unione europea per ogni mille euro di PIL generati sono stati prodotti circa 700 kg di rifiuti speciali. L’Italia è a 380 kg e ha avviato il 75% dei rifiuti speciali a riciclo.
I principali aspetti sui quali l’Italia appare maggiormente in difficoltà sono due: consumo di suolo ed ecoinnovazione. Nel 2018, la Polonia risultava coperta da superficie artificiale per il 3,6%. La Spagna al 3,7%, la Francia al 5,6%, la Germania al 7,6% mentre l’Italia è al 7,1%.
Inoltre, nel 2021 la media europea rispetto all’indicatore dell’ecoinnovazione, che comprende tutte quelle forme tecnologiche e non in grado di contribuire alla tutela dell’ambiente e un utilizzo più efficiente delle risorse, è 113. L’Italia è al 13esimo posto nell’Ue con un indice di 79. Dal punto di vista dei risultati ottenuti, l’Italia è a quota 102, molto al di sotto della media europea per il 2021 (140).
In Italia nel 2019 oltre 23mila aziende lavoravano alla riparazione di beni, in calo del 20% rispetto al 2010. In Francia erano oltre 33.700 imprese, in Spagna circa 28.300.
Giulia Bergami
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Nata nel 1996 a Bologna, Giulia Bergami ha una missione nella vita: raccontare il mondo che la circonda.Laureata nel 2018 in Scienze della Comunicazione a Bologna, prosegue i suoi studi conseguendo nel 2020 il titolo magistrale nella facoltà di Management e Comunicazione d’Impresa di Modena e Reggio Emilia con una tesi sperimentale sulla CSR e la Responsabilità Sociale d’impresa nell’industria farmaceutica. Da quasi 5 anni collabora con alcune testate giornalistiche del territorio per raccontare le persone di Bologna, le loro vite, i successi e le sfide quotidiane, meglio ancora se giovani, intraprendenti e con la voglia di “spaccare il mondo”. Al contempo, lavora nella Comunicazione d’Impresa e delle Media Relations in ambito salute. Sia per supportare il lavoro delle associazioni pazienti sia a fianco di aziende e altre realtà del settore. Forse non sarà l’Oriana Fallaci 2.0 del futuro, ma intanto è così “famosa” da avere una biografia su internet. Prossimo passo? Una pagina di Wikipedia interamente dedicata a lei.