Difficilmente monitorabile e poco monitorato, il settore delle locazioni è un mercato rimasto, da sempre, nell’ombra. Caratterizzato da abbondante “nero” e gestito spesso con il passaparola dai proprietari, è chiaro che, visti i connotati, risulti talvolta sfuggente alle statistiche ufficiali.
Studenti universitari già rodati in cerca di un appartamento migliore di quello dell’anno precedente, o matricole piene di vita (magari fuori sede) che si danno da fare per trovare una sistemazione confortevole quanto quella di casa. Spesso si parla sempre e solo di compravendite… ma c’è una parte del settore immobiliare, che conta un tipo di contratto stipulato ogni anno pari a quattro volte tanto la compravendita: l’affitto.
Per iniziare a tutelarsi sin dal principio quando si è in affitto, sarebbe bene osservare con attenzione l’appartamento e, se è possibile, farlo visionare anche a un tecnico di fiducia. Questo perché, ultimamente, i contratti di affitto contengono la clausola “visto e piaciuto”, in forza della quale il conduttore (e futuro inquilino) dichiara di accettare l’immobile nello stato di fatto in cui si trova, compresi gli eventuali difetti.
Tuttavia, prescindendo dalla presenza di tale clausola, l’affittuario non può, in un secondo momento, sollevare contestazioni in merito a qualità mancanti dell’appartamento di cui poteva accorgersi già al momento della visita.
Chiaramente, egli accetta solo i difetti visibili o quelli comunque individuabili con la cosiddetta ordinaria diligenza: potrebbe trattarsi di una porta che non si chiude bene o l’assenza di zanzariere. Se invece il padrone di casa ne ha nascosti intenzionalmente, e se questi non erano percepibili con facilità (si pensi, ad esempio, ad una tubatura rotta) si possono sollevare contestazioni anche in un momento successivo.
In sintesi, una volta firmato il contratto di locazione, l’inquilino può alzare la voce solo in presenza di vizi e difetti dell’appartamento non facilmente percepibili al momento della consegna o tenuti nascosti (con l’imbroglio) dal proprietario. Questa prima regola potrebbe rendere l’idea di quali siano i rischi derivanti dal contratto di locazione. Per questo, qui di seguito si aggiunge qualche altro consiglio utile a tal punto.
Sono considerati vizi quelle imperfezioni dell’immobile che non incidono sulle qualità essenziali del bene: si pensi all’eccessiva rumorosità proveniente dall’esterno. È considerato vizio anche la mancanza di autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio e, in particolare, la sua agibilità, ma solo se nel contratto è pattuito un particolare uso dell’appartamento.
Il locatore è responsabile, dunque, se l’immobile consegnato presenta vizi, tali da renderne impossibile l’uso concordato nel contratto. Ciò vale anche quando i vizi sono facilmente eliminabili o si manifestano dopo la firma del contratto.
Come anticipato in apertura, non sono vizi quelli conosciuti dal conduttore o facilmente conoscibili all’atto della conclusione del contratto. Non rilevano neanche i guasti dovuti alla normale usura dell’immobile per effetto del tempo oppure del suo normale utilizzo.
La domanda, pertanto, sorge spontanea: se l’appartamento presenta difetti cosa può fare l’inquilino? Le soluzioni a sua disposizione sono le seguenti:
Solo in quest’ultimo caso – proprio perché viene meno l’utilizzabilità della prestazione – non si deve più versare l’importo mensile. Quando, invece, i problemi all’immobile rendono comunque possibile all’inquilino vivervi di dentro, non è consentito interrompere, né ridurre unilateralmente il canone.
ATTENZIONE a questa particolarità linguistica: la legge esclude la contestazione dei vizi conosciuti, ma anche di quelli conoscibili, ossia che potevano essere individuati non necessariamente con l’occhio tecnico dell’esperto.
Il vizio è considerato riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto o alla qualità dei contraenti, chiunque avrebbe potuto rilevarlo (per esemplificare, una crepa sul muro o la lavatrice non funzionante).
Come anticipato, si tratta di quei contratti di locazione che restano come scrittura privata tra le parti e non vengono registrati alla Agenzie delle Entrate (mancata registrazione) o che vengono registrati, ma dichiarando un canone di locazione inferiore a quello realmente percepito per evadere il fisco (registrazione mendace). Ma come proteggersi nel caso in cui il proprietario dell’appartamento in cui viviamo non registra il contratto di affitto?
È bene precisare, innanzitutto, che risulta ovvio che la mancata registrazione del contratto di locazione, o quella contrassegnata da dichiarazioni false, costituisce un danno non solo per il fisco, ma anche per lo stesso inquilino, il quale, non avendo la dichiarazione dell’importo che realmente paga come affitto, non può detrarre alcuna spessa dalla sua dichiarazione dei redditi.
L’inquilino, dal canto suo, può presentare la denuncia all’agenzia dell’Entrate, che costituisce prova sufficiente di “affitto in nero”, senza necessità di produrre altre prove.Tuttavia, il rischio che correrebbe il dichiarante, qualora questa mancata registrazione del contratto di locazione durasse da almeno due anni, sarebbe di dover pagare sanzioni a carico dell’inquilino stesso, salvo poi rivalersi nei confronti del proprietario.
Per evitare di incorrere in ogni tipo di responsabilità, però, il padrone di casa, dovrebbe apprestarsi ad occuparsi del “ravvedimento operoso”: quindi registra il contratto di affitto presso l’Agenzia delle Entrate o corregge il canone inferiore dichiarato, dopo il termine di 30 giorni stabilito per legge. Con questo atto, locatore e conduttore possono regolarizzare l’affitto pagando delle sanzioni che sono commisurate al tempo impiegato per il ravvedimento.
Si precisa, però, che l’inquilino può occuparsi, oggi, egli stesso di effettuare la registrazione del contratto di locazione. Ovviamente, per poter eseguire questa procedura nella maniera corretta è necessario essere in possesso dei dati catastali dell’immobile e dei dati anagrafici del proprietario.
La legge, stavolta, ha pensato davvero a tutto: infatti le disposizioni della legge 431/1998, in forza della quale, per la locazione di immobili a uso abitativo, le parti hanno in sostanza un’autonomia contrattuale limitata essendo libere nella determinazione del canone, ma vincolate al limite minimo di quattro anni di durata con rinnovo automatico per altri quattro anni. Nulla impedisce loro, in ogni caso, di convenire una durata maggiore.
Tali norme vengono spesso trasgredite, ed oggi, si parla del contratto della durata di un anno più uno. L’esistenza della l.431\1988, appunto, certifica l’illegittimità di un contratto che preveda una durata inferiore alla minima. Di conseguenza, se nel corso della locazione una delle due parti impugnasse il contratto, il giudice lo ricondurrebbe automaticamente ad un “normale” contratto di quattro anni più quattro. Spesso i proprietari usano questa formula per conoscere meglio l’inquilino e non incorrere in qualche spiacevole situazione di morosità. Ci sono però altre formule contrattuali più brevi come il contratto transitorio, che ha una durata da uno a diciotto mesi; o addirittura una sottocategoria che è rappresentata dalla locazione abitativa transitoria per studenti, il cui intervallo di tempo va da sei a trentasei mesi.
Insomma, qualunque sia la vostra esigenza, si potrà trovare, adottando gli opportuni accorgimenti, la soluzione più idonea alle proprie esigenze ma…si faccia attenzione oltre ai “furbetti del cartellino”, anche a quelli dell’affitto.
Maria Giulia Vancheri
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Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità