Zonderwater: una storia tanto bella quanto sconosciuta. Una di quelle storie che ti sorprende, che alla fine del racconto ti lascia a bocca aperta e che ti costringe a chiedere perché non la conoscessi prima. Una storia vera che sembra, però, essere stata scritta da uno dei grandi romanzieri della letteratura mondiale. Una storia, scritta nel suo libro da Carlo Annese e raccontata da Federico Buffa sui canali Sky.
“Venerdì 4 settembre 1942, il transatlantico, Ile de France, sta entrando nel porto di Durban in Sudafrica: stimati quattro mila soldati italiani in attesa di sbarcare. Lì nessun segno del conflitto in corso, i fronti di guerra sono lontani, irraggiungibili dai velivoli ancora in attività. Per geografia è il luogo più adatto per contenere migliaia e migliaia di uomini, quelli che alla fine della guerra verranno riconsegnati al mondo come POW (Prisoners Of War), ovvero prigionieri di guerra. Sono anime in sospeso, alla resa, ma ancora in partita col destino, in bilico tra una vita precedente e una nuova che sarà. La salvezza per molti di loro, al momento ignari, sta per arrivare grazie allo sport. Ora attendono di essere trasferiti in treno a oltre 600km da lì, in un luogo che in boero significa “senza acqua” (Zonderwater). Nulla che lasci ben presagire”.
Sono queste le parole con cui Federico Buffa inizia il suo nuovo (incredibile) racconto, in onda sui canali Sky già da martedì sera. Quella di Zonderwater è una storia sconosciuta ai tanti, quasi dimenticata, tornata alla luce grazie al giornalista italiano Carlo Annese e al suo libro I diavoli di Zonderwater.
“Una storia italiana, intima e quasi dimenticata. E che fa emozionare” dice Buffa in un’intervista. “Vite che si intrecciano, che si conoscono e si incontrano. Lo sport che diventa anche un canale”. Ma cos’è, davvero, Zonderwater?
Zonderwater è il più grande campo di prigionia costruito dagli “alleati” durante la seconda guerra mondiale. Il campo ospitò tra l’aprile del 1941 e il gennaio del 1947 circa centomila soldati italiani, catturati dagli inglesi nelle battaglie in Africa occidentale.
Già nel 1940, dopo la battaglia di Sidi El Barrani (Egitto), le truppe inglesi si ritrovarono a dover gestire migliaia di prigionieri che per motivi di sicurezza dovevano essere allontanati il più possibile dalle zone di combattimento. La soluzione più adatta apparve il Sudafrica che, nel frattempo, aveva respinto una possibile alleanza con Germania e Italia, anche perché facente parte del Commonwealth.
Fu così che i molti prigionieri italiani da Suez, tramite transatlantici, arrivarono a Durban (Sudafrica) per essere poi trasferiti nei vari campi di prigionia. Il più grande di questi campi fu appunto Zonderwater che, come detto, in lingua boera significa “senza acqua”.
Sprovvisto di baracche o qualsiasi altro tipo di abitazione, i soldati italiani nel campo, inizialmente, dovettero dormire nelle tende, subire un trattamento tutt’altro che accogliente da parte delle guardie e patire, nel vero senso della parola, la fame.
L’anno seguente, per la fortuna degli italiani, a dirigere il campo venne il colonnello Prinsloo che conosceva in prima persona la durezza della segregazione. Egli diede prova di grande concretezza e umanità, facendo costruire dai prigionieri stessi, una vera e propria città. Abitazioni con mattoncini rossi in pieno stile inglese, più 14 blocchi ognuno dei quali composto da 4 campi. Ogni campo poteva ospitare due mila uomini e quindi un blocco otto mila. A Zonderwater, in definitiva, potevano entrare fino a 112 mila prigionieri.
Il colonnello sapeva che, dentro la “Città dei mattoncini rossi” per non soccombere, era necessario inventare un proprio mondo, mantenere in allenamento mente e muscoli. Cosa fece? Un vero e proprio miracolo. Creò scuole di lingue; scuole medie per analfabeti o tecnico professionali con relativi libri di testo; biblioteche; un giornale del campo. Diede vita ad attività: teatrali (17 teatri); musicali, artigianali; sportive e ricreative (16 campi di calcio con piste e tribune, 80 campi di bocce, 16 campi di scherma, 6 campi da tennis, ring per competizioni di pugilato, di lotta greco-romana, campi di pallacanestro e pallavolo ecc.).
Fu proprio l’amore per lo sport di Prinsloo a salvare molti soldati italiani. All’interno di Zonderwater fu, addirittura, organizzato un campionato di calcio, nel quale una squadra (i diavoli neri) alla fine riusciva ad avere sempre la meglio sulle altre e in particolare sui diretti rivali (i diavoli rossi). In palio cosa c’era? Una scodella di pasta o una fetta di carne per i giocatori più bravi. E di giocatori bravi davvero, a Zonderwater, ve ne erano due: certi Giovanni Vaglietti e Araldo Caprili (quest’ultimo una volta tornato in Italia giocherà nella Juventus) di cui Buffa nel proprio racconto narra le storie personali, insieme a quelle di due pugili (Giovanni Manca e Gino Verdinelli) che nel campo diedero vita a due incontri rimasti nella storia.
Per quanto riguarda la vita quotidiana a Zonderwater i prigionieri venivano, di tanto in tanto, trasferiti da un blocco all’altro. Questa procedura avvenne ripetutamente dopo l’8 settembre 1943, quando nel campo esplosero diverse tensioni e liti tra i soldati stessi, in base all’orientamento politico. Alcuni scelsero di collaborare con i detentori recandosi a lavorare fuori dal campo, in varie attività, e per loro la vita diventò meno dura; altri restarono fedeli al giuramento e preferirono aspettare nella precarietà del vitto e delle condizioni generali il rimpatrio.
Rimpatrio che per 252 soldati italiani non arrivò mai: morirono prima della partenza e ora riposano nel cimitero che, assieme a un museo, una cappella e un monumento chiamato “I tre archi” (oggi simbolo del campo) costituiscono un pezzo di terra italiana in Sudafrica. Questi tre luoghi rappresentano tutto ciò che è rimasto a Zonderwater dopo che nel 1947, alla partenza dell’ultimo POW (prigioniero di guerra), le abitazioni furono abbattute e il campo smantellato. Nella grande croce centrale, prima di entrare al cimitero, una scritta: “Morti in prigionia, Vinti nella carne, Invitti nello spirito, L’Italia lontana vi benedice in eterno” MCMXLIII.
Oggi, a Zonderwater, ogni prima domenica di novembre, la comunità italiana si riunisce con le autorità diplomatiche di Italia e Sudafrica per commemorare i circa centomila soldati. Coloro che, lontani migliaia di chilometri da casa, sacrificando la propria giovinezza, attesero il tanto implorato ritorno.
Storie come questa, così poco conosciute, andrebbero raccontate nei banchi di scuola. Storie come questa rappresentano il carattere, lo spirito di sacrificio, la dedizione di una nazione. Rappresentano il valore e l’importanza che lo sport, qualunque esso sia, può avere all’interno di una società.
Grazie Carlo Annese e Federico Buffa per avercela scritta e raccontata…una storia come questa, perché Zonderwater è una storia tanto bella quanto sconosciuta!
Fonte foto: flickr.com
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Giuseppe, classe 1999, aspirante giornalista, è laureato in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali). Fin da piccolissimo è appassionato di sport e giornalismo.
Simpatiche, si fa per dire, le scene di quando da piccolo si sedeva nel bar del padre e leggeva la Gazzetta dello Sport “come quelli grandi”.
È entrato a far parte di Voci di Città, prima, come tirocinante universitario e, poi, come scrittore nella redazione generalista e sportiva. Con il passare del tempo, è diventato coordinatore sia della redazione sportiva che di quella generale di VdC. Allo stesso tempo, al termine di ogni giornata di campionato, cura la rubrica settimanale “Serie A, top&flop” e scrive anche delle varie breaking news che concernono i tempi più svariati: dallo sport all’attualità, dalla politica alle (ahimè) guerre passando per le storie più importanti, centrali o divertenti del momento.
Il suo compito in sintesi? Cercare di spiegare, nel miglior modo possibile, tutto quello che non sa! (Semicit. Leo Longanesi).