Noi siam da secoli calpesti, derisi
Perché non siam popolo
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica speme:
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
Così recita il famoso inno di Mameli che da sempre è stato cantato in molte piazze d’Italia in occasione dell’ Anniversario dell’Unità d’Italia. Come ben sappiamo, l’Italia si è unificata nel lontano 17 marzo del 1861, e quindi, in questo anno ricorrono i 160 anni della sua unità. L’ora di fonderci insieme, come disse Mameli, suonò molto tempo fa, ma cosa è cambiato in questi 160 anni? Si può parlare di unione?
Sicuramente la disillusione dei giovani nei confronti della nazione e del concetto di patria non permette di utilizzare la parola “unione”. Se da una parte ritroviamo movimenti politici giovanili o associazioni studentesche che cercano quotidianamente di tenere vivo l’interesse per la nazione, dall’altra ritroviamo un grande “avvenimento” che si sta diffondendo sempre più rapidamente: la globalizzazione. Si potrebbe parlare perlopiù di globalizzazione culturale, il cui scopo è quello di unire tutti gli abitanti della terra in un’ unica grande famiglia e di eliminare l’idea di patria.
Si lavora per rendere i giovani sempre più “cittadini del mondo” e non solo della loro nazione, riducendo l’idea di questa come sola idea di appartenenza geografica. A sostenere ciò è anche la presenza, all’interno di una nazione, di tutte le razze e le etnie che caratterizzano la società odierna per cui l’ idea del “prima gli italiani” diventa progressivamente obsoleta in una nazione composta da cittadini di diversa nazionalità.
Quell’amor di patria, che molti autori del passato descrivono come un vivo affetto nei confronti della patria o come un profondo attaccamento alla propria terra, va sempre più estinguendosi. Al giorno d’oggi l’amore per la patria è caduto in “disuso” insieme a quell’unica “speme” di cui parlava Mameli. Per questo ci ritroviamo a festeggiare con più entusiasmo giornate mondiali o eventi di altre nazioni (ritenute forse più rilevanti) rispetto a date importanti per la nostra nazione come quella della sua unione.
Un tempo, infatti, sentirsi italiani era una sorta di orgoglio, un sentimento molto più profondo. Esisteva nelle vecchie generazioni un maggiore attaccamento alla propria terra. Oggi invece assistiamo alla fuga di cervelli.
Un altro aspetto fondamentale, oltre al divario fra vecchie e nuove generazioni, è anche quello geografico. La grande soluzione di continuità che innescò la creazione e l’accrescimento del divario tra Nord e Sud del paese furono proprio il processo di unificazione risorgimentale e, soprattutto, le successive politiche in materia di industrializzazione e infrastrutturazione.
Infatti, nel corso di 160 anni, non solo l’economia e la crescita interna soffrono di questa discrasia. Il Nord ad esempio, vanta una crescita demografica superiore, con un rapporto natalità/mortalità ben più complesso che al Sud per via dell’immigrazione interna e internazionale. La popolazione al Nord cresce, mentre il Sud rischia di diventare terra abbandonata e insicura. Una terra dove lo sviluppo economico stenta a decollare e la percezione della qualità della vita è ancora più negativa. Ecco perché Mameli diceva “non siam popolo perché siam divisi”.
Ad accentuare tale divisione si aggiunge pure il reddito pro-capite medio. Questo, nel Meridione negli anni ‘70 lambiva il 64% e oggi si è ridotto ad appena il 55%. Ciò ci fa comprendere che mettere su famiglia e fare un figlio, seppure per i giovani settentrionali è ambizione complessa, per i meridionali diventa chimera.
Le differenze che condizionano uno sviluppo duale e asimmetrico tra il Nord e il Sud del Paese sono drammaticamente sintomo di uno stato storicamente incapace di creare sinergie armoniche. Molti studiosi parlano di un “sopra Roma” e di un “sotto Roma”. Si vede quindi la capitale come un punto di unione fra due mondi che sono, col passare del tempo, sempre più distanti pur essendo parte della stessa nazione.
Differenze che potrebbero diventare indice di fratture insanabili dell’Italia a due marce nel (prossimo) futuro.
Nel giorno dell’anniversario dell’Unità d’Italia però, il presidente Mattarella elogia la nazione per la reazione alla pandemia che l’ha caratterizzata nello scorso anno. “L’Italia, colpita duramente dall’emergenza sanitaria, ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità e di coesione. Nel distanziamento imposto dalle misure di contenimento della pandemia ci siamo ritrovati più vicini e consapevoli di appartenere a una comunità capace di risollevarsi dalle avversità e di rinnovarsi”.
Come dice il famoso detto “l’unione fa la forza” e forse l’Italia ha conosciuto la sua vera unione solo in momenti di difficoltà. Dopo aver costatato tali problematiche, ci si chiede se l’Italia sia effettivamente una nazione unita sia nella carta che nella realtà. Ci si chiede cioè, se si tratta di un’unione apparente derivata da un processo storico e da sentimenti che nel nuovo decennio vanno perdendo repentinamente la loro rilevanza oppure no.
A questo grosso interrogativo potrà rispondere solo l’Italia del domani e le generazioni future. Queste ultime dovranno scegliere se ripartire dalle loro radici e rilanciare la loro nazione e i suoi valori, oppure lasciare che questi si perdano nel vortice di una globalizzazione che tende sempre più ad annullare le identità nazionali per creare un’idea totalizzante di cittadino.
Fonte Foto: nell’attesa.it Silvia Rabuazzo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Ti piacerebbe entrare a far parte della redazione di Voci di Città? Hai sempre coltivato il desiderio di scrivere articoli e cimentarti nel mondo dell’informazione? Allora stai leggendo il giornale giusto. Invia un articolo di prova, a tema libero, all’indirizzo e-mail redazione@vocidicitta.it. L’elaborato verrà poi letto, corretto ed eventualmente pubblicato. In seguito, ti spiegheremo come iscriverti alla nostra associazione culturale per diventare un membro della redazione.