La Svezia avrebbe usato celle frigorifere come obitori temporanei nascondendole in mezzo al bosco: così l’unico paese al mondo che ha scelto di non effettuare lockdown per proteggere i suoi cittadini affronta la pandemia da Covid-19
Svezia: un tasso di mortalità procapite tra i più alti al mondo (10milioni di abitanti e quasi 5.000 decessi), morti nelle celle frigorifere come obitori momentanei nascoste tra i boschi. Questi i connotati di un paese come la Svezia che è tutt’altro che Covid-free. Nonostante questo, però, è l’unico che non ha mai adottato misure drastiche per arginare i contagi.
Mentre l’Italia era barricata in un severissimo lockdown, Stoccolma, capitale della Svezia, non ha mai smesso di essere la stessa di sempre: nessuna mascherina, né quarantena, scuole e ristoranti non hanno interrotto la loro regolare attività. Lo chiamano lockdown soft ed è il discusso modello svedese. Nessun obbligo, solo appelli alla responsabilità dei cittadini. L’idea era quella di far circolare il virus lentamente tra le persone in modo che potessero immunizzarsi. Idea lodata, in principio, anche dall’OMS, poi i morti: Danimarca 593 vittime, Norvegia 242, Finlandia 325. In Svezia, invece, 4814, 5 volte la somma degli altri paesi scandinavi.
«Il numero dei morti è stato elevato, è vero, ma lo si può paragonare ad un anno “cattivo” di influenza. Negli anni peggiori si arriva fino a 3.000 vittime. C’è da dire che ogni anno muoiono tanti anziani a causa dell’influenza, credo sia la stessa cosa anche in Italia». Così Jan Albert, l’esperto svedese di Covid-19 in una intervista rilasciata al Tv7. «In Italia è diverso. D’altronde è stata l‘epicentro della pandemia in occidente. Quando si è scoperto, il danno era già fatto. Qui in Svezia i casi di contagio sono stati, per così dire, importati dai turisti», continua l’esperto.
26 Febbraio 2020, 5 giorni dopo Codogno, L’Italia istituisce la zona rossa. Ma la Svezia rimane aperta, nonostante la chiusura degli altri paesi scandinavi. Continuano ad atterrare voli che riportano a casa svedesi di ritorno dalle Alpi. Nessun lockdown, nessun controllo della temperatura, nessuna quarantena: il contagio esplode. Ma l’epidemiologo di Stato, Andres Tegnell, non fa alcun passo indietro sulla strategia adottata: «Noi continueremo a seguire questa linea perché crediamo sia stata la scelta più giusta». Una tattica, però, pagata dai più fragili: immigrati e anziani nelle case di riposo. Per far fronte all’emergenza sanitaria i protocolli ospedalieri imponevano di adottare criteri severissimi per l’accesso in terapia intensiva dei malati che ne necessitavano: esclusi gli ultraottantenni e le persone con più di 60 anni affetti da altre patologie. E non solo quando i reparti erano già pieni, ma già prima, per evitare che si riempissero.
Anche in Svezia, nelle RSA, si è riscontrata una carenza di dispositivi di protezione per il personale. Tuttavia, non possiamo dire siano gli stessi i rapporti italiani con il “fine-vita”: «Qui – racconta la direttrice di origine italiana di una casa di riposo per anziani svedese – si preferisce una vita breve vissuta nel migliore dei modi al tentare l’impossibile. In Italia, invece, la vita è sacra». Non solo questa la differenza tra italiani e gli svedesi: nel paese scandinavo, infatti, la famiglia è composta da genitori giovanissimi e nonni che non fanno da baby-sitter.
Per questo (e non solo) in Svezia persisteva l’obbligo di frequentare le scuole, in piena pandemia. Mamme e papà più a rischio erano terrorizzati dall’idea di poter essere contagiati dai figli di ritorno da una mattinata in classe. Ma se avessero imposto ai loro ragazzi di non frequentare quei luoghi sarebbero stati denunciati ai servizi sociali. La Svezia non si può misurare con lo stesso metro italiano, ma possiamo almeno dire che il Bel Paese si prenda certamente più cura delle vite umane tutte, prima che dell’economia?
Maria Giulia Vancheri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità