La prostituzione può essere intesa come una scelta? Come si regola il mercato della prostituzione? Regolamentare vuol dire accettare che lo Stato tragga profitto dallo sfruttamento di esseri umani? Il modello tedesco funziona? Una legge che regoli la prostituzione, può essere vista come una tutela dei professionisti del settore? Queste sono le domande che spesso ci si pone sotto vari punti di vista, soprattutto politici, etici ed economici, quando si parla di un tema infuocato come il mestiere più antico del mondo.
In Italia la prostituzione è regolata dalla legge Merlin del 1956, che condanna sia lo sfruttamento che il favoreggiamento ma non l’atto in sé. L’Italia è un Paese che adotta il modello abolizionista quindi, ma le fazioni favorevoli al ripristino delle case chiuse si moltiplicano sempre di più. Alle Camere giacciono numerose proposte di legge, circa una decina, ma ciò non basta a riuscire a prendere coraggio e affrontare la questione da più punti di vista. La questione fu trattata addirittura dal senatore Antonio Razzi, di Forza Italia, che qualche tempo fa, insieme al programma La Gabbia, in onda su La7, girò la capitale per parlare con le professioniste del settore e chiedere la loro opinione. Purtroppo il senatore e la troupe televisiva fu cacciata via in malo modo e Razzi dovette abbandonare i suoi propositi dediti alla causa. Ma questo è solo uno dei tanti esempi, perché più volte la questione è balzata agli onori della cronaca (sicuramente il tema è molto trattato dalla Lega e anche dal Movimento Cinque Stelle), nel corso della storia italiana. I sostenitori della regolamentazione hanno numerosi motivi per portare avanti questo pensiero. Innanzitutto, chi si prostituisce sarebbe riconosciuto dallo Stato come “lavoratore” a tutti gli effetti e pertanto potrebbe versare le tasse e ottenere un fondo pensionistico, come qualsiasi altro contribuente. La prostituzione condotta per le strade sarebbe scoraggiata, si potrebbero costruire dei veri e propri quartieri o case per questo scopo e lavoratori e clienti sarebbero immediatamente più protetti sotto molti punti di vista. Queste considerazioni che accendono il dibattito nel Bel Paese sono anacronistiche rispetto alle decisioni di alcuni Stati che hanno adottato già da alcuni anni il cosiddetto “modello regolamentarista”. Si tratta del famoso “modello tedesco”, imitato poi da altri Paesi, in cui la prostituzione è regolamentata e legale.
L’altra campana è rappresentata da coloro che credono che la prostituzione non possa essere concepita in un sistema costituzionale del 2017. Prima di tutto il celeberrimo modello tedesco sta portando alla luce tutti i suoi limiti. Alcuni credono infatti che l’abolizione della tratta degli esseri umani, dovuta al riconoscimento delle professioni legate al mercato del sesso, sia un’utopia irraggiungibile. Anzi, l’apertura delle “case di tolleranza” avrebbe acuito e deliberato la tratta. È chiaro che una regolamentazione riguarderebbe solo una piccola fetta di tutto il mercato complessivo, cioè solo quella parte di persone che decidono esse stesse di spontanea volontà di darsi alla prostituzione. Ma resta un’ombra su quell’enorme fetta di mercato di schiavismo e violenza che non potrebbe giovare di un’eventuale legislazione in merito.
Il problema si pone anche dal punto di vista etico. Come non citare infatti la posizione di una parte del mondo femminista contraria alla regolamentazione. Tra queste si potrebbe menzionare un’attivista femminista e giornalista degli ultimi anni dell’800: Anna Maria Mozzoni. La Mozzoni reputava la regolamentazione come una misura che privava le donne prostitute della loro dignità, definendola «indegna schiavitù» e per questo fu presa ad esempio da altre femministe che ritenevano e ritengono ancora oggi la prostituzione come una costrizione sempre e comunque, anche laddove ci dovesse essere l’autodeterminazione. Nicholas D. Kristof e Sheryl WuDunn, vincitori del Premio Pulitzer, scrivono nel 2009 un libro che parla di oppressione e liberazione: Metà del cielo. In quelle pagine si sostiene quanto sia «più produttivo concentrare gli sforzi sulla prevenzione e sulla chiusura dei bordelli». Sicuramente questo è un territorio minato, pieno di interessi politici, economici, etici e giochi di potere ma una riflessione come quella di Kristof e WuDunn, che escluda le banalità, deve esserci. Di certo un cambiamento è opportuno ma bisogna ricorrere all’onestà intellettuale della concretezza per snocciolare il problema e portare anche queste riflessioni in Parlamento.
Serena Borrelli
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