Giorgio Napolitano ha giurato, per la seconda volta, per rappresentare la democrazia italiana. Quella che è stata definita giornalisticamente l’Età della Seconda Repubblica è morta per sempre e non ce ne sarà una Terza. Da un lato vi è la possibilità di leggere l’avvenimento storico così come lo ha definito Grillo, cioè l’ennesimo inciucio, un colpo di Stato dei partiti, dall’altro come il tentativo di salvare quel che resta della politica nel buon nome (mica tanto) della Repubblica. Re Giorgio, che fa e disfà il governo a suo piacimento (si prenda ad esempio il caso umano di Monti), è al contempo, oltre che garante della sovranità popolare, l’espressione di un potere accentrato i cui attuali partiti non riescono più a gestire. L’atto in sé di aver restituito il comando del vascello Italia, nel suo massimo periodo di crisi e smarrimento, nelle mani del vecchio – sarebbe meglio dire: dello stesso – Capo dello Stato, è la traduzione sintomatica dell’incapacità di trovare un accordo per il bene del falso Paese democratico che è da tempo divenuto l’Italia e che muore sotto i colpi martellanti della crisi, dello spread, dell’Europa e soprattutto della Germania guidata da Angela Merkel, nuova dittatrice economica dell’età contemporanea. Il primo ministro eletto da Napolitano è già, fin da ora, un emissario del Presidente, di Re Giorgio, vero punto cardine di tutta l’arlecchinata all’italiana.
Il fatto che sconvolge maggiormente, avvenuto durante il giuramento di Napolitano, è che i parlamentari sorridevano e applaudivano contenti e gioiosi al loro Re, mentre questi li insultava, svergognava e condannava per la mancata legge elettorale, le riforme e il comportamento oltranzoso nei confronti dei cittadini. Sembrava, dagli applausi, che Napolitano stesse parlando di un altro parlamento, di un’altra Italia e un’altra epoca, eppure i riferimenti al Risorgimento non sono certo stati assenti. Il PD con le sue fratture, Berlusconi con le proprie battute, Monti con l’incoerenza d’un partitino sulle spalle creatosi da un governo tecnico e Grillo con la linea dura imposta ai suoi, appaiono tutti come marionette del grande mangiafuoco che è diventato Napolitano. La “forzatura” di una così drammatica rielezione porterà soltanto ad altri squilibri e disfunzioni all’interno della rottamata macchina statale. Si tratta di una macedonia con frutti andati a male, di un spettacolo scadente recitato sempre dagli stessi attori. Quando tornerà un briciolo di democrazia e gli accenti monarchici saranno scomparsi, allora sarà giunto il momento che i politici facciano un fischio agli italiani, però chissà se questi saranno restati, intanto, lì ad aspettare.
Alberto Molino
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.