Non è stato accorpato alla tornata di amministrative che si svolgerà con buona probabilità nel mese di maggio, per cui il voto sulle trivelle si esprimerà domenica 17 aprile. Per la prima volta nella Storia della nostra Repubblica, il referendum in questione, anziché tramite una raccolta di firme, è stato richiesto dalle Assemblee regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. In origine i quesiti erano sei, ma solamente uno è stato infine accettato dalla Corte di Cassazione, visto che gli altri erano stati superati dalle modifiche alla legge di Stabilità per l’anno 2016.
Di cosa si sta parlando, nello specifico? La questione che verrà posta agli italiani riguarderà l’abrogazione o meno di una norma che consente alle società petrolifere di estrarre idrocarburi entro le 12 miglia marine dalle coste italiane fino all’esaurimento del giacimento, anche al termine delle concessioni (terzo periodo del comma 17 dell’articolo 6 del Codice dell’Ambiente); è bene sottolineare che la scelta, dunque, non contempla le attività svolte sulla terraferma o in mare, oltre le 12 miglia. Per la validità della votazione è necessario che si rechi ai seggi almeno il 50%+1 degli aventi diritto al voto, altrimenti il risultato verrà considerato nullo. Inoltre, poiché nel Paese vige soltanto il referendum abrogativo, barrare la casella del sì equivarrà ad esprimere la propria volontà di abrogare la norma esistente, mentre barrare quella del no manifesterà la volontà di mantenere tale e quale la normativa esistente.
Perché votare sì? Perché impedire le trivellazioni significherebbe ridurre il rischio di incidenti potenzialmente devastanti per l’ecosistema – basti pensare a cosa è successo di recente nel Golfo del Messico, con i conseguenti danni in termini di turismo e di pesca nostrana. Inoltre, si tratterebbe di un messaggio forte per incentivare ricerca e investimenti nel settore delle energie rinnovabili, ancora troppo esigui nello Stivale. Senza contare il fatto che il petrolio presente nei nostri mari, per il nostro fabbisogno giornaliero, basterebbe solamente per 8 settimane, mentre il gas per 6 mesi: non si risolverebbe, insomma, il problema latente della nostra dipendenza energetica da altre nazioni.
Perché votare no? Se le concessioni attualmente in scadenza non venissero rinnovate, la quota di energia prodotta da quelle attività verrebbe probabilmente sostituita da idrocarburi provenienti dai mari di altre parti del mondo, con un vantaggio ambientale pressoché nullo. Infatti, le trivellazioni continuerebbero ugualmente oltre le 12 miglia marine in Montenegro, Croazia e Grecia, e l’Italia subirebbe un danno economico difficile da calcolare, a causa del mancato incasso delle royalties e della perdita di ingegneri ed infrastrutture logistiche, insieme a migliaia di posti di lavoro nell’indotto.
Va tenuto presente, pertanto, che ogni voto potrebbe risultare sensato, se ponderato con ragionevolezza e se indicato con piena consapevolezza da parte dei singoli elettori. Non a caso, ad essere fondamentale sarà proprio la presenza degli italiani alle urne, in considerazione del fatto che rendere nullo il primo referendum richiesto a livello regionale in molte zone del Belpaese si rivelerebbe una scelta tutt’altro che utile e significativa. A prescindere dal risultato finale, la responsabilità di ogni citadino dovrebbe fare sì che l’intenzione di esprimere la propria preferenza non venga, quindi, assolutamente accantonata.
Lorenzo Guasco
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