In una Europa dove la destra populista (e contestualmente xenofoba, alla luce dei recenti problemi riguardanti l’ingente afflusso di immigrati provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente devastato dalla guerra) si dichiara nemica giurata dell’Unione Europea, desiderosa di riscattare la propria identità nazionale, le recentissime elezioni olandesi hanno solo confermato ciò che, qualche mese fa, aveva affermato l’Austria: non è così scontata la vittoria di questa nuova corrente politica europea e, soprattutto, la concorrenza non deve venire per forza da sinistra. Eppure bisogna starvi attenti, in quanto la pianta della politica populista e xenofoba è in perenne crescita e tali vittorie sono semplici battute d’arresto soltanto su alcuni Paesi dell’Unione. Infatti, mentre il Parlamento britannico fa a pugni con la May, Premier inglese anti-UE, la Francia convive perennemente con il simbolo di questa destra che avanza: Marie Le Pen, aspirante concorrente alla poltrona di Primo Ministro in territorio d’oltralpe.
Ma torniamo all’Olanda. Il popolo olandese ha senza dubbio sentito tantissimo queste elezioni: più dell’80% della popolazione si è recata alle urne per eleggere i propri rappresentanti. Per la paura di un attacco hacker, inoltre, si è ricorsi al conteggio manuale delle schede e non a quello telematico. Le elezioni parlamentari del 16 marzo 2017 hanno temporaneamente sventato un’ipotetica Nexit (Netherlands Exit, naturalmente dall’Unione Europea). A vincere l’elezioni, infatti, è stato il VVD, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (centrodestra liberale), capeggiato da Mark Rutte. Si ricorda, in merito, che l’Olanda è una monarchia costituzionale e che il Primo Ministro viene nominato dal re, solo successivamente lo scrutinio finale delle elezioni per la Camera Bassa (Seconda Camera) del Parlamento (la Prima Camera, quella alta, infatti, è eletta dalle 12 assemblee legislative delle province); il monarca dà, di solito, l’incarico di formare il Governo al leader del partito uscito vittorioso dalle ultime elezioni. E così Rutte (successivamente alla sua prima vittoria del 2010, in cui dopo ben 99 anni il Premier fu nuovamente un liberale prima di lui, infatti, l’ultimo era stato Pieter Cort van der Linden; e la seconda nel 2012) si ritrova al suo terzo incarico.
La speranza è che il “Rutte-ter” non finisca come il primis, dato che, sempre nel 2010, egli fu costretto a dimettersi dopo due anni a causa del fallimento dei negoziati sul deficit pubblico. Eppure, ad oggi, l’aria che si respira nella terra dei tulipani, dei mulini e della marijuana legale è diversa: è stato infatti sconfitto Geert Wilders, leader del PVV, il Partito per la Libertà (Destra conservatrice e ultra-nazionalista). «L’Olanda ha detto no al populismo. Grazie per questa vittoria che avete dato all’Olanda, ma anche all’Europa: adesso – riporta repubblica.it – siamo impegnati per mantenere il Paese stabile, sicuro e caratterizzato dal benessere», così Rutte ha commentato la sua vittoria. Ma Wilders non si arrende e tweetta al veleno contro il neo Premier, scrivendo «Abbiamo guadagnato seggi, il primo obbiettivo è raggiunto. E Rutte non mi ha fatto fuori».
Il leader del PVV, inoltre, sembrerebbe persino aperto ad una coalizione di Governo per evitare che l’Olanda si spacchi e crei un caso politico analogo a quello della Spagna: «Vorrei partecipare al governo – riporta repubblica.it – ma se ciò non fosse possibile voteremo comunque a favore sui temi che a noi sono più cari». 150 posti per ben 13 partiti: Rutte ha conquistato infatti 33 poltrone, contro le 2o di Wilders. 19 sono, poi, andate al CDA (Appello Cristiano Democratico) di Sybrand van Haersma Buma, altri 19 al D66 (Democratici 66) di Alexander Pechtold, 14 al SP (Partito Socialista) di Emile Roemer e altri 14 al GL (Sinistra Verde) di Jesse Klaver. La resta porzione della Camera Bassa olandese è stata poi presa da partiti che non hanno toccato le dieci poltrone a testa: 9 al PvdA (Partito del Lavoro) di Lodewijk Asscher, 5 al CU (Unione Cristiana), 5 al PvdD (Partito per gli Animali) di Marianne Thieme, 4 al 50 Plus di Henk Krol, 3 al SGP (Partito Politico Riformato) di Kees van der Staaij, 3 al Denk (partito fondato tre anni fa da due laburisti, Tunahan Kuzu e Selcuk Ozturk, usciti dal loro partito precedente per alcune divergenze sul controllo dei musulmani in territorio nazionale) e 2 al FvD (Forum per la Democrazia) di Thierry Baudet.
Rutte necessita di una coalizione forte per andare a trovare la maggioranza in Parlamento: guardando i numeri poc’anzi riportati si evince come ben 31 seggi siano stati occupati da partiti cuscinetti, anche se alcuni non partivano proprio come tali, basti pensare al partito laburista che nelle penultime elezioni aveva preso ben 38 seggi. Così il PVV cercherà di portare nella sua coalizione D66 e CDA, ambedue affini al partito del Premier alla luce delle loro ideologie liberali: Rutte arriverebbe in tal modo a 71 seggi, 4 appena sotto la maggioranza. Trovare le poltrone rimanenti tra i partiti cuscinetto, comunque, non dovrebbe essere un’impresa. L’opposizione al momento è guidata da Wilders che, però, ha soltanto 20 seggi su cui contare visto che gli altri due partiti che annoverano un numero abbondante di posti in Parlamento, quali SP e GL, sono entrambi di sinistra, e quindi di ideologie diametralmente opposte alla destra xenofoba e a tratti liberali. Wilders può, così, cercare un appoggio nel SGP e nella GU, tentando di far sposare la sua casa ad altri 8 deputati, oltre ai suoi 20.
La vera sorpresa di queste elezioni restano i tre posti ottenuti dal Denk, partito di due turchi, dopo le recentissime tensioni tra Paesi Bassi e Turchia che hanno portato ad un vero e proprio screzio diplomatico. Insomma, la destra populista avanza, seppur non con grande facilità: eppure l’Europa non deve stare tranquilla, la sua maggior nemica (Marie Le Pen) a breve potrebbe divenire il nuovo Primo Ministro francese, ma questa è un’altra storia.
Francesco Raguni
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