Mai come di questi tempi, venti di secessione tornano a soffiare prepotentemente sul Vecchio Continente. Storie di guerre, rivoluzioni e lotte sociali riempiono volumi interi e mostrano come i grandi mutamenti del passato diano una risposta alle grandi questioni del presente. Nel corso dei secoli precedenti i confini territoriali hanno conosciuto più volte la parola cambiamento, soprattutto durante il Novecento. Basti pensare soltanto alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, avvenimento che simbolicamente segnò un’epoca: la fine della Guerra Fredda tra l’Occidente e il blocco sovietico, il quale si avviò verso la dissoluzione definitiva agli inizi degli anni Novanta. Pulizia etnica e violazione di diritti umani fecero da sfondo alla Guerra in Jugoslavia, al contrario la scissione della Cecoslovacchia in due entità statali separate avvenne per vie diplomatiche nel 1992.
15 anni di moneta unica hanno dato forma – politica – al messaggio euroscettico, che si nutre costantemente degli effetti negativi di globalizzazione e cessione di sovranità monetaria e, nel frattempo, si affretta a chiudere le porte in faccia all’immigrazione e al multiculturalismo in nome di ideologie xenofobe e populiste. Come se non bastasse, all’indomani della Brexit è riapparso le spettro dell’indipendenza della Scozia, dove il dibattito interno sulla scissione dal Regno Unito gode di nuova linfa in tempo di negoziati serrati tra Londra e Bruxelles.
Mentre le tensioni politiche stanno accompagnando il referendum in Catalogna, il voto per l’autonomia di Veneto e Lombardia può suonare come un antico retaggio politico e culturale di quel “sogno Padano“ inseguito per lungo tempo dalla Lega di Bossi a suon di slogan e provocazioni sul piano del linguaggio verbale. Le bandiere dei movimenti secessionisti sparsi in giro per l’Europa rivivono in una cartina che mostra un continente diviso nelle intenzioni, ma non nella sostanza.
Gabriele Mirabella
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