Da steward allo Stadio San Paolo, a Vicepresidente della Camera, a candidato in pectore del M5S alla Presidenza del Consiglio. La vittoria di Di Maio alle primarie a cinque stelle è una pura formalità: tra le critiche dei dissidenti e l’appoggio di Di Battista e Casaleggio, ci si prepara a quella che sembra essere un’elezione bulgara per il prescelto di Beppe Grillo
Esattamente dieci anni fa, Beppe Grillo poneva le fondamenta per la nascita di quello che oggi è diventato il primo partito in Italia. Nell’ormai lontano Settembre del 2007, infatti, si “celebrava” (le virgolette, in questo caso, sono d’obbligo) in varie città del paese il primo V-Day, inaugurando così la nascita di una nuova stagione politica: quella del Movimento Cinque Stelle e della Democrazia 2.0. A dieci anni dalla sua fondazione, è ormai chiaro a tutti che il M5S sia una pedina fondamentale dello scacchiere politico nazionale e, dalla mera speranza che era alle origini si è trasformato prima nel principale partito di opposizione e adesso si appresta a diventare lo schieramento che guiderà l’Italia dopo le prossime elezioni.
Onestà, sovranità popolare e ancora onestà. Questo è sempre stato il mantra del Movimento Cinque Stelle, condito da una sincera quanto autentica politica anti-establishment, nonché un immancabile eclettismo sui temi più disparati del dibattito sociale: dall’anti-europeismo più acceso, alle posizioni conflittuali nei confronti della Costituzione, alla lotta contro la corruzione in Parlamento e nelle Istituzioni. Insomma, durante questi primi dieci anni è innegabile che i pentastellati abbiano letteralmente condotto una crociata contro l’élite di Montecitorio, ricoprendo qualsiasi posizione dello spettro politico a seconda del sentire dell’opinione pubblica. Ora, tuttavia, agli sgoccioli della legislatura e a ridosso delle elezioni, è necessario per tutti porsi una più che lecita domanda: e se davvero i grillini trionfassero, chi sarà a guidare il primo Governo del Movimento Cinque Stelle ?
Formalmente, sarebbero state indette delle primarie – peraltro anche di importanza fondamentale, visto che da queste verrà fuori il nome non solo del candidato alle Politiche ma anche quello del leader del Movimento – tuttavia nell’universo pentastellato, queste non sembrano essere sempre una garanzia, come evidenziato dagli episodi di Genova e dalle ripetute scomuniche comminate da Grillo nei confronti dei dissidenti. Certo, è curioso che un partito che si fondi sul concetto di volontà popolare e legittimazione dal basso abbia così tanti problemi di democrazia interna: tali da rendere una pura formalità anche queste stesse primarie, visto che il leader del M5S ha già – in pratica – deciso di affidare le redini del futuro pentastellato a Luigi Di Maio. La mancanza di veri avversari all’interno del partito e l’investitura concessagli da Grillo, rendono di fatto l’attuale Vicepresidente della Camera il maggior esponente del primo partito d’Italia e, nel caso di una vittoria dei Cinque Stelle, sarebbe proprio lui a guidarne il Governo affiancato dal nome (praticamente certo) di Alessandro Di Battista, con il quale fa coppia fissa dal tour per le elezioni Regionali in Sicilia.
Certo, l’annuncio della candidatura non è stato privo di critiche, soprattutto dall’interno dell’area ortodossa del Movimento stesso: Roberto Fico, Paolo Becchi e Marika Cassimatis tra tutti. Il primo aveva già biasimato Di Maio per aver preso parte al meeting di Cernobbio tra i poteri forti, nemici giurati del Movimento e della gente comune; gli ultimi, invece, sono stati molto più duri, tanto di aver parlato addirittura di «regole ad personam» per il prescelto di Beppe Grillo. Di Maio, infatti, stando alla Magna Charta del M5S, non sarebbe nemmeno candidabile in quanto su di lui pende un’accusa di diffamazione in seguito ai fatti di Genova. Inflessibili sono stati anche Filippo Gallo e Riccardo Nuti «dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle di Luigi di Maio. A voi i commenti» dice il primo, mentre il parlamentare coinvolto nello scandalo firme in Sicilia ha commentato su Facebook «Nuti indagato ? Sospeso […] Di Maio indagato ? Non sospeso e premier».
Critiche a parte, sembra proprio che le speranze del Movimento – che sia la base o i vertici a decidere, importa poco – risiedano tutte nell’attuale Vicepresidente della Camera: visto dalla maggior parte dell’opinione pubblica come il candidato logico del M5S, Di Maio è «il più democristiano dei grillini» , il volto moderato e istituzionale del Movimento, l’uomo della strada che grazie alla rousseauiana democrazia del web è entrato in Parlamento per scardinare dalle fondamenta la corruzione di Montecitorio. Nell’èpos grillino, Di Maio è tutto questo e anche di più, è il mito del self-made man applicato alla politica nostrana: nessuna storia politca, nessun curriculum, due brevi apparizioni nel mondo universitario (prima ingegneria, poi giurisprudenza) entrambe abbandonate, dichiara di non voler completare gli studi per non «approfittare del suo ruolo istituzionale per passare gli esami», dice di ispirarsi a Pertini ma il padre era missino e definisce le ONG come dei «taxi del mare».
Insomma, un colpo alla botte e uno al cerchio, la politica di Di Maio – come quella di tutto il M5S, d’altronde – è un meraviglioso mix post-ideologico di affermazioni d’effetto che tra di loro non hanno assolutamente nulla in comune. Dichiarare di essere gli eredi spirituali di Berlinguer e Almirante è la metafora della morte delle ideologie, perché se ieri commenti del genere sarebbero stati accolti – nel migliore dei casi – con una risata sarcastica, oggi sono perfettamente accettabili e sono lo specchio della società e della classe politica moderna: luogo in cui anche l’epitome della mediocrità diventa un punto di riferimento per il 30% del Paese.
Francesco Maccarrone
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