Sarà la Nuova Zelanda il settimo paese del mondo a legalizzare l’eutanasia: questo si evince dai primi risultati del referendum svoltosi lo scorso 17 ottobre in contemporanea alle elezioni politiche (che hanno visto la vittoria della prima ministra Jacinda Ardern). Ben il 65% dei neozelandesi votanti, infatti, si è espresso a favore di una legge sul fine vita. I risultati riceveranno un’ultima conferma nella giornata di oggi 6 novembre, quando sarà terminato il conteggio di circa 480000 “voti speciali”, che includono i voti dall’estero.
Come annunciato dal Ministro della Giustizia Andrew Little, la nuova legge entrerà in vigore a partire dal novembre 2021 e prevederà una serie di criteri ben definiti per accedere alla morte assistita: vi avrà diritto ogni adulto giudicato capace di intendere e di volere, affetto da malattia incurabile che potrebbe causargli la morte entro sei mesi e la cui sofferenza sia definita “insopportabile”. La richiesta dovrà inoltre essere sottoscritta sia dal medico curante che da un medico indipendente, con l’eventuale consulenza di uno specialista psichiatra.
Un secondo quesito referendario, quello riguardante la legalizzazione della cannabis, sembra invece avere poche possibilità di passare: solo il 46% dei neozelandesi si è espresso favorevolmente, contro un 53% che ha espresso posizione contraria.
Il volto della battaglia pro-eutanasia nel paese è probabilmente quello dell’avvocatessa e attivista Lecretia Seales, deceduta nel 2015, a soli 42 anni, dopo una lunga lotta contro un tumore al cervello. A partire dalla sua diagnosi, avvenuta nel 2011, si batté per il diritto a un fine vita più umano: nel corso del suo controverso court case, la giovane avvocatessa decise di sfidare le leggi in vigore appellandosi alle norme etiche del New Zealand Bill of Rights Act. Nonostante l’emissione di una sentenza a lei sfavorevole, con la negata concessione del suicidio assistito, il caso riportò l’attenzione nazionale sul delicato tema del right to die.
Agata Virgilio
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