SKOPJE – La situazione in Macedonia non sembra migliorare. Le tensioni inter-etniche tra la maggioranza macedone e la minoranza albanese si sono aggravate e la paura di una guerra civile persiste in tutto il Paese. Ali Ahmeti, leader del partito di minoranza Unione Democratica per l’Integrazione, è accusato, secondo quanto riportato da TPI, di cospirare per la formazione di una «grande Albania» che colleghi Pristina e Tirana con la parte occidentale della Macedonia. «Se avessi voluto la Grande Albania me la sarei presa nel 2001, quando avevo 10mila soldati pronti a seguire i miei ordini», commenta Ahmeti ai microfoni di TPI. «Sono quindici anni che tengo a bada i guerrafondai, ma ora più che mai bisogna mantenere la calma perché la crisi politica non si trasformi in un conflitto aperto» ha concluso.
Prima, però, è giusto ricapitolare la situazione. Il tutto comincia il 1° marzo, quando Gjorge Ivanov, presidente della Macedonia vicino all’organizzazione nazionalista VMRO, si rifiuta di conferire il mandato di formare il nuovo governo al leader dell’opposizione socialdemocratica Zoran Zaev. La decisione di Ivanov è arrivata in quanto riteneva che un’alleanza fra le opposizioni potesse costituire «una minaccia per l’integrità e la sovranità del paese». Dal canto suo, Zaev ha definito questa decisione un vero e proprio «colpo di stato», principalmente perché la mossa di Ivanov è del tutto incostituzionale. In seguito sono arrivate pressioni anche dall’Unione Europea, con tanto di viaggio istituzionale di Federica Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea, che, tuttavia, hanno sortito pochi effetti.
Riguardo la decisione di Ivanov, si è espresso il ministro degli Esteri Nikola Poposki, che è anche dirigente del VMRO, sempre ai microfoni di TPI, spiegando le motivazioni che si celano dietro la decisione, che sono pressoché quelle enunciate dallo stesso Ivanov: «Dopo le elezioni i partiti albanesi hanno elaborato un programma di governo che ridefinisce l’essenza dello stato macedone», riferendosi alla cosiddetta “Piattaforma”, che contiene ipotesi di modifica della bandiera e dell’inno, oltre a un maggiore riconoscimento ufficiale della lingua albanese. «E quel che è peggio, questo programma è stato elaborato a Tirana sotto una mappa della Grande Albania: si immagina quanto questo possa far arrabbiare l’uomo della strada?».
A tre mesi dalle elezioni, tra una crisi interna che sembra non avere fine e le pressioni internazionali, la Macedonia non è ancora riuscita a darsi un governo capace di superare questa situazione ed evitare la disgregazione del paese. Infatti, esso è totalmente spezzato e i rapporti sono estremamente tesi. Da qualche settimana numerosi manifestanti invadono le strade e le piazze di Skopje ogni sera inneggiando al presidente Ivanov al suono di slogan contro la comunità albanese. Ciò nonostante, ormai da tempo si susseguono manifestazioni, proteste e, talvolta, scontri tra le fazioni coinvolte. Nel suo complesso, le relazioni tra le due comunità sono peggiorate notevolmente, soprattutto dopo la decisione del presidente, e questo fa crescere sempre di più la paura per una eventuale guerra civile. Da una parte i nazionalisti legati alla propria Macedonia, mentre dall’altra la minoranza albanese che vuole riformare il paese attraverso la Piattaforma. In tanti si sono espressi su questa delicata questione, tuttavia sono forse le parole di Tim Judah, massimo esperto di Balcani nel mondo anglosassone, quelle che più contengono l’essenza di una guerra che non gioverebbe a nessuno: «L’unica ed ultima volta in cui è esistita una “Grande Albania” è stata quando l’hanno creata gli italiani, e non è andata a finire bene».
Marco Razzini
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