A ottant’anni dalla creazione del Manifesto di Ventotene, la realizzazione di un federalismo europeo sembra ancora lontana. Di certo, la risposta dell’Unione Europea alla crisi pandemica è stata un segnale importante. Questo segnale sembra aprire a un cambio di passo verso una dimensione più comunitaria. Episodi come la Brexit però, indicano un progressivo processo di disintegrazione che l’Unione deve fronteggiare. La Brexit è stata interpretata da molti studiosi come un campanello d’allarme, mandato dall’Inghilterra, che segnala il problema della governance europea.
L’Europa è un sistema unico al mondo per la sua configurazione istituzionale. Il fatto però che l’UE possieda i requisisti di comunità territoriale e di comunità di individui, ma manchi dell’elemento della sovranità, non ci permette di parlare a pieno titolo di Stato federale. L’UE resta quindi un ibrido tra un’organizzazione intergovernativa e una federazione con una governace da migliorare.
Le istituzioni dell’UE sono molteplici e svolgono diversi ruoli. Il Parlamento dell’UE e il Consiglio dell’UE svolgono il ruolo di legislativo dell’Unione Europea. Il Consiglio europeo e la Commissione svolgono il ruolo di esecutivo dell’UE. Tali istituzioni però non furono avviate secondo una visione complessiva ma si sono sviluppate in modo frammentario e per questo sono intricate e poco trasparenti.
La riforma istituzionale, da molto tempo nell’agenda dell’Europa, vede un vasto consenso nella sua necessità, ma non riguardo agli obiettivi da raggiungere con essa. Le ragioni che spiegano la necessità di una riforma sono: maggiore efficienza, maggiore trasparenza e riduzione del deficit democratico con conseguente miglioramento della governance dell’UE.
Gli studiosi hanno formulato vari presupposti per il corretto funzionamento delle istituzioni dell’UE. Tra i più importanti troviamo: la necessità di un processo decisionale più centralizzato ed efficace, l’impegno per la stabilità e la prosperità di tutta l’unione, l’orientamento alla legittimazione popolare delle politiche intraprese. Quest’ultimo rappresenta il fulcro del problema della governance europea.
I riformatori dell’UE possono essere classificati in due categorie. Da una parte coloro che vorrebbero vedere l’UE muoversi verso un sistema presidenziale caratterizzato da un unico leader eletto dai cittadini d’Europa che attui un ruolo di leadership politico-popolare. Dall’altra parte stanno coloro che vorrebbero che l’UE imitasse gli Stati membri e adottasse un sistema parlamentare funzionante con un governo definito, basato su una coalizione multipartitica del Parlamento europeo.
Entrambi i gruppi pongono al centro dei loro modelli le elezioni del Parlamento europeo. Queste ultime pongono la possibilità di creare un legame più diretto con i cittadini europei e migliorare la qualità della governance democratica dell’Unione Europea.
Analizzando il Trattato di Lisbona, si disegna un processo decisionale basato sulla doppia rappresentanza degli stati e dell’elettorato. Questi ultimi rappresentano le “parti costituenti” elettorali del Consiglio dell’Unione e del Parlamento, istituzioni che condividono la funzione di definire il contenuto delle politiche intraprese. In questa prospettiva il sistema partitico nel Parlamento europeo assume una responsabilità rilevante ai fini della rappresentanza degli interessi del popolo europeo. Tutto ciò potrebbe autorizzarci a vedere quindi l’UE come un governo dei partiti o party government, ma non è così.
Tale configurazione non è sufficiente per definire l’Unione come un sistema di party government. Questo perché un sistema di party government è caratterizzato non solo (e non tanto) dalla capacità dei partiti di determinare il contenuto delle politiche pubbliche durante i processi decisionali, ma dalla possibilità degli stessi partiti di determinare l’agenda politica del sistema mediante il controllo, diretto o indiretto, del potere esecutivo.
Pur sapendo che il Parlamento Europeo e i suoi componenti hanno il potere di eleggere il Presidente della Commissione, di dare l’approvazione riguardo al collegio dei Commissari e di votare una mozione di censura della Commissione, nonostante le indicazioni dei Trattati, il sistema politico dell’Unione non appare ancora chiaramente definito. Ciò è percepibile perché non esiste un legame di fiducia, implicito o esplicito, che leghi il presidente della Commissione alla maggioranza politica parlamentare.
Si potrebbe quindi dire che l’esistenza di un sistema dei partiti nell’Unione non sembra delineare un sistema di governo dei partiti europei.
Da un lato, il Trattato di Lisbona sembra delineare un percorso di sviluppo del sistema che procede verso la democrazia parlamentare, in quanto istituisce meccanismi che collegano la scelta del Presidente della Commissione alla maggioranza parlamentare. Dall’altro, lo stesso Trattato di Lisbona tratteggia una struttura di relazioni tra esecutivo e legislativo più vicina al sistema a poteri separati: sistema in cui si stabilisce un rapporto di relativa autonomia fra potere esecutivo e legislativo. In questo caso il Consiglio Europeo e il Consiglio dell’Unione, che detengono il potere di governo del sistema, non hanno nessun rapporto con il sistema dei partiti europei, né con Parlamento e Consiglio dell’UE.
La definizione di democrazia composita che Sergio Fabbrini utilizza per descrivere il sistema politico dell’Unione riflette l’attuale assetto istituzionale dell’Unione. Tale assetto non si configura ancora come party government, poiché ciò potrebbe apparire contraddittorio e potrebbe comportare numerosi problemi. Uno dei problemi più rilevanti può essere quello relativo all’accountability dell’esecutivo. Si tratterebbe cioè di permettere l’esistenza di un esecutivo che non risulta avere nessun meccanismo che lo renda responsabile di fronte all’elettorato.
Molti studiosi definiscono il party government come un sistema nel quale il potere politico è esercitato da personale eletto e responsabile di fronte al proprio elettorato mediante meccanismi che ne assicurino la “responsabilità” per mezzo dei partiti politici. In tale senso un sistema di party government deve assicurare una connessione tra i partiti politici e le istituzioni e gli attori che svolgono la funzione di “agenda setter”.
Dopo aver compreso il problema alla base della governance dell’UE, allora ci si potrebbe chiedere: quale potrebbe essere il futuro assetto del sistema politico dell’Unione per risolvere tale problema?
Esistono almeno due possibili scenari.
Il primo è quello relativo alla piena realizzazione di una democrazia parlamentare nella quale la Commissione svolgerebbe solo le funzioni di burocrazia. La Commissione sarebbe responsabile di fronte all’esecutivo, cioè al Consiglio Europeo, che a sua volta sarebbe responsabile di fronte al Parlamento europeo.
Il secondo scenario è il modello congressuale suggerito da Sergio Fabbrini. In questo, il Parlamento Europeo dovrebbe veder rafforzato il suo potere di controllo sul Consiglio Europeo e sul Consiglio dell’Unione. Tutto ciò avverrebbe mediante l’estensione dei suoi poteri decisionali in quelle politiche che sono ancora gestite con processi decisionali intergovernativi .
In entrambi i casi, l’Unione acquisirebbe una configurazione di party government e le ambiguità attualmente presenti verrebbero attenuate o scomparirebbero. Queste sono le due strade per eliminare il problema della governance europea.
Silvia Rabuazzo
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