La tensione accumulatasi per l’approvazione delle due riforme del centrodestra, ovvero il premierato e l’autonomia differenziata, è sfociata in una rissa avvenuta nella Camera dei Deputati, durante la quale un deputato del Movimento 5 Stelle, Leonardo Donno, avrebbe ricevuto un colpo da Igor Iezzi appartenente alla Lega.
Mentre si discuteva dei passi avanti verso l’approvazione riguardo l’autonomia differenziata, si è accesa la conflittualità – anticipata già dal segno della Decima Mas del leghista Domenico Furgiuele – rivolto ai banchi delle opposizioni che cantavano “Bella Ciao” mostrando la bandiera tricolore.
Poco dopo il deputato Leonardo Donno ha tentato di dare una bandiera italiana al ministro Calderoli. È in quel momento che si scatena immediatamente una maxi-rissa placata dai commessi con molta difficoltà. Lo stesso Donno è finito a terra, circondato da altri parlamentari della maggioranza. Le immagini di questo scontro si sono subito diffuse sul web.
I protagonisti della vicenda hanno iniziato, in seguito, ad accusarsi a vicenda. Donno ha raccontato di aver “preso un pugno che mi ha sfiorato la faccia dal deputato Iezzi. Altri ci hanno provato come Mollicone, Candiani. Poi sono arrivati tanti altri, i commessi… io sono crollato, sentivo male al petto e facevo fatica a respirare“.
Ma il leghista Iezzi ha cercato di smentire, dicendo: “Ho provato a dare cazzotti, ma non l’ho colpito. Donno ha tentato di aggredire Calderoli e ho reagito. Io mi allontano e lui dopo cade come una pera. Andrebbe condannata la sua sceneggiata“.
Adesso spetta al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, esaminare i filmati per analizzare attentamente l’accaduto. La seduta è stata chiaramente sospesa. “Non è possibile riprendere i lavori in questo clima di crescente violenza verbale e addirittura fisica” aveva detto Elly Schlein, segretaria del Pd, fuori dall’aula di Montecitorio.
Palazzo Madama ha approvato il cuore del premierato: ovvero, l’articolo che introduce il principio dell’elezione diretta del premier e ha iniziato a esaminare l’altro pilastro della riforma. Vale a dire, l’articolo che regola le crisi di governo. Il testo troverà conferma il 18 giugno, mentre alla Camera si approverà l’autonomia differenziata.
Questi due percorsi “paralleli” hanno rafforzato la maggioranza, ma hanno reso compatte anche le opposizioni, poiché su entrambe le riforme hanno tutte mostrato il loro dissenso con proteste in Aula.
Dopo che la maggioranza ha approvato l’articolo 5 del ddl Casellati, i senatori di opposizione – da Alleanza Verdi e Sinistra a Italia Viva e Azione – hanno esposto in Senato cartelli che hanno portato alla sospensione della seduta. La causa principale della protesta non è solo il principio dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio prevista dalla riforma, ma il fatto che il testo non spiega come avverrà l’elezione, rinviando a una legge ordinaria successiva.
I gruppi di minoranza hanno dunque domandato alla ministra Maria Elisabetta Casellati di rassicurare sulla necessità della maggioranza dei voti dei cittadini per eleggere il candidato premier, e che senza di essa si deve ricorrere al ballottaggio.
Casellati ha risposto attaccando le opposizioni. Ha ribadito che la legge elettorale per il Parlamento e per il premier verrà presentata dopo la prima lettura della riforma. “Avrei voluto discutere su una proposta alternativa che non c’è stata, e non avrei voluto discutere su numeri dei molti emendamenti ostruzionistici” ha detto. “Non accetto lezioni di democrazia da chicchessia su una legge che non prospetta nessuna deriva autoritaria“.
Queste affermazioni hanno riscaldato nuovamente gli animi. L’approvazione del 18 giugno è favorita dal restringimento dei tempi e l’esaurimento di quelli che l’opposizione avrebbe a disposizione.
Fonte foto in evidenza: ansa
Valentina Contarino
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