Tra i vari settori stravolti dal Covid-19 ne spicca uno in cui, più di altri, si commistionano interazioni sociali e professionali e che, per forza di cose, non ha potuto fare altro che risentire in maniera perentoria dei cambi di rotta dovuti alla pandemia, ovverosia la scuola, tematica protagonista del G20 svoltosi a Catania il quale ha riunito i Ministri dell’Istruzione dei vari Stati coinvolti.Infatti, le dinamiche della vita scolastica, già afflitte da numerose criticità, sono andate incontro ad una serie di misure necessarie per proteggere gli studenti dal virus. Fra queste, ovviamente, spicca (per entità fattuale e conseguenziali diramazioni) la famigerata didattica a distanza, prevista in “dosi massicce” per gli alunni in età più avanzata, il cui percorso esistenziale è stato caratterizzato da un eterogeneo vespaio di polemiche.
Certo, è vero che essa abbia incontrato un non indifferente ostacolo nel c.d. digital divide che, sfortunatamente, affligge ancora oggi le zone più arretrate del nostro Paese e che ha fatto sì che numerosi studenti, in situazioni economiche e familiari non ottimali, siano stati tagliati fuori dalle possibilità offerte dalla tecnologia.
Tuttavia, il precedente Governo Conte ha indetto un bando per l’assegnazione di un bonus finalizzato all’acquisto di tablet o pc e alla sottoscrizione di un abbonamento ad una connessione internet per le famiglie più indigenti al fine di cercare, tendenzialmente, di raggiungere quella parità di chance che promana da un’attenta lettura dell’articolo 3 della nostra Costituzione e, quindi, di garantire il massimo dispiego delle potenzialità della didattica a distanza.
Gli attacchi alla dad, a dirla tutta, sono stati spesso superflui e pretestuosi ma mai quanto gli ossimorici scioperi che, non solo hanno vanificato l’obiettivo del distanziamento sociale ma hanno paradossalmente comportato lo spreco di preziose ore che, invece, sarebbero potute servire all’estrinsecazione di quel “diritto allo studio” che molti ragazzi hanno asetticamente sbandierato, senza rendersi conto di essere stati particolarmente fortunati delle possibilità che ha offerto loro l’attuale evoluzione tecnologica.
Invero, al di là delle evidenti criticità (soprattutto, in termini di interazioni sociali), la dad ha permesso, nel miglior modo possibile, il proseguimento degli studi per milioni di ragazzi che, altrimenti, avrebbero dovuto affrontare quasi due anni di vero e proprio buio formativo, lontani dai libri e dagli insegnanti che li seguono. É terrificante, infatti, immaginare le conseguenze per la scolarizzazione complessiva se la scuola avesse affrontato la pandemia con un decennio di anticipo, quando internet non era diffuso in maniera così capillare e, ancor più, non era disponibile la mastodontica quantità e varietà di dispositivi dotati di connessione internet e telecamera.
Naturalmente, nessuno auspica il superamento in via definitiva dell’insegnamento di presenza a beneficio della dad ma, avendo chiaro il quadro sanitario dell’ultimo anno e mezzo, sarebbe stato difficile configurare soluzioni più efficaci per salvaguardare la scuola durante la pandemia.
Su questa linea di pensiero si è mosso il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi il quale, durante il G20 ha dichiarato: “Sulla didattica a distanza siamo tutti concordi nel dover tornare sui banchi di scuola in presenza. La didattica a distanza strumento di allargare i rapporti e gli scambi di conoscenze. Non sostituisce ma allarga le potenzialità”.
Al di là della pandemia, in realtà, sono venute fuori tutte le difficoltà già da tempo annidate nel sistema scolastico, tra programmi non sempre pedissequamente rispettati, insegnanti non sempre all’altezza e, spesso, studenti privi di consapevolezza (per ragioni anagrafiche e congenite che, spesso, sfuggono al loro controllo); invece di sforzarsi di individuare metodi alternativi che troppo strizzano l’occhio alla moda tecnologica del momento, sarebbe più opportuno ripartire dalle basi: dalla carta, dalla penna e dallo studente.
Piuttosto che ostinarsi ad imprimere un ormai superato studio mnemonico che poco sviluppa le capacità di ragionamento e lo spirito critico degli alunni (soprattutto nelle scuole superiori le cui classi sono popolate da ragazzi più maturi) e che omette di cogliere le individualità dei ragazzi, sarebbe ora di proporre gli oggetti dell’insegnamento in una prospettiva nella quale lo studente non deve vivere monodimensionalmente la lezione, limitandosi in maniera passiva all’assunzione di sterili nozioni ma, piuttosto, cercare di cogliere i fatti, essere in grado di effettuare collegamenti logici e, in ultima istanza, formarsi e non solo informarsi; tali obiettivi pur essendo pomposamente inseriti nella redazione del testo dei programmi scolastici, in realtà finiscono per restare carta morta che, raramente, trova applicazione pratica.
Naturalmente, le problematicità del sistema scolastico non possono tradursi in scusanti ed esimenti dietro il quale lo studente potrebbe, ingenuamente, nascondersi pensare; infatti, per quanto sia giusto prendere atto della situazione perfettibile, l’alunno non deve mai far venir meno il proprio impegno perché, sia pur con tutti i difetti del caso, il sistema offre i mezzi essenziali per essere dei buoni studenti. Sta a costoro, dunque, metterli in atto, sviluppando un rapporto di leale collaborazione con gli insegnanti che, previa il rispetto dei ruoli, pur non assurgendo a figure assimilabili agli amici, devono essere visti non come avversari da sconfiggere bensì delle figure di riferimento per i propri studenti al fine di tirar fuori il meglio da loro e valorizzarne le capacità.
Perciò, è auspicabile che la crisi dovuta alla pandemia diventi il pretesto per la programmazione di una serie di interventi organicamente correlati che possano risolvere in maniera strutturale le problematiche scolastiche A tal proposito, il Ministro Bianchi ha affermato: “Bisogna ripensare a percorsi educativi legati anche al vivere e al condividere insieme esperienza e mettendo grande enfasi agli spazi educativi. Siamo tutti allineati su questo. Tutti i venti Paesi sono concordi nell’esigenza di far girare molto di più le conoscenze. Questo ce lo ha insegnato la pandemia, solo con la condivisione si possono superare le crisi.”
Insomma, sembra condivisa l’idea che, dopo la pandemia, la scuola venga “rimessa al centro del villaggio”, al di là di qualsiasi dinamica politica, sociale ed economica, in modo tale da superare situazioni quali il crescente abbandono scolastico, la scarsa formazione logica e il carente spirito critico che affigge il diplomato medio; troppo spesso, infatti, si sottovaluta l’impatto che la scuola e gli insegnanti possono avere ai fini del processo di crescita dell’individuo.
Alla luce di ciò, quindi, sembra doveroso garantire la presenza di insegnanti dotati di grande passione e competenza che possano formare i migliori studenti possibili e quindi, i futuri migliori cittadini possibili perché se, secondo Voltaire “dalle condizioni delle carceri si misura il livello di civiltà di una Nazione”, dalle condizioni delle scuole, invece, si misura il livello medio della statura culturale e intellettuale di ogni Stato.
Christian Ferreri
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