Napoli. Un bambino di 11 anni apre la finestra del balcone che si trova all’undicesimo piano del suo palazzo. Supera la ringhiera e si getta nel vuoto. Suicidio. L’ultimo messaggio alla madre: «Devo seguire l’uomo nero con il cappuccio». Dalle prime indiscrezioni risulterebbe, però, anche un altro elemento. Una strana sfida sul web. C’entrerebbe un profilo social con il volto di uomo travestito da cane, simile a Pippo, (compare di Topolino). Ma non è né Pippo, né Topolino, ma un certo Jonathan Galindo. Tuttavia, le indagini non hanno ancora non hanno ancora fornito una ricostruzione precisa di quello che sta succedendo.
«Ciao a tutti. Questa follia di Jonathan Galindo sembra che stia terrorizzando molti giovani impressionabili». Il 3 luglio scorso l’account del video maker Dusty Scan ha pubblicato una serie di tweet che iniziano con queste parole. Dusty è un esperto nella creazione di maschere. Tra il 2012 e il 2013 ha diffuso sui suoi social delle foto in cui si ritrae mentre indossa una maschera con le sembianze di un cane. Nessuna voglia di spaventare né di rivolgersi ai minori.
Intanto, la storia è stata ricostruita dal Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze. Il risultato è che nel 2017 proprio quelle foto vengono prese e usate per confezionare una storia horror in cui un account social con il nome di Jonathan Galindo cercherebbe di adescare bambini convincendoli a fare giochi sempre più pericolosi, fino a spingerli al suicidio. Esattamente come successo per il caso Blue Whale, l’emulazione è inarrestabile.
Prima del caso di Napoli, in Italia si era già cominciato a parlare di Jonathan Galindo. L’8 luglio 2020 il Resto del Carlino ha pubblicato un articolo dal titolo Jonathan Galindo, la folle sfida. Un gioco all’autolesionismo. Qui vengono citati casi nelle Marche, tra Ancona, Jesi e Falconara. Si parla ancora soltanto di «segnalazioni alle forze dell’ordine». Segnalazioni che, secondo le fonti ascoltate da Open, non sarebbero mai state formalizzate ufficialmente con una denuncia.
Le conseguenze irreversibili a cui questi giochi conducono dovrebbero servire da spunto, secondo l’esperta di pedagogia Paola Cosolo, ai genitori affinché prestino attenzione a quello che i loro figli fanno in rete.
«Il problema è che gli adulti sono i primi a non essere in grado di usare i social. Postano qualsiasi cosa, lasciano trasparire ogni informazione possibile. Sembra che recuperino per primi un atteggiamento adolescenziale. Guardi TikTok, era nato come una piattaforma per balletti e canzoni dedicata agli adolescenti. Ora è piena di adulti», dice.
Oltre a non essere in grado di leggere un mondo diverso da quello in cui sono nati, per Cosolo il problema dei genitori sarebbe anche quello di non fidarsi abbastanza degli esperti. «Esistono linee guida per i social e certificazioni per i videogiochi. Tutte cose che vengono ignorate sistematicamente da genitori che per la paura di passare come troppo autoritari non controllano cosa fanno i loro figli in rete e i siti su cui navigano». Il paragone, secondo Cosolo, è semplice: «Invito tutti i genitori a trattare il web come una lavatrice: leggete le istruzioni prima di usarlo o prima di farlo usare agli altri».
Maria Giulia Vancheri
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Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità