Ciò che sta accadendo in queste settimane in Medio Oriente sta scuotendo le fondamenta dello Stato islamico. Non sono però stati scossi solo determinati capisaldi: infatti, anche il sito di Palmira, di recente, è stato gravemente danneggiato. Il numero due dello Stato Islamico, secondo perciò solo al califfo Al Baghadadi, Fadhil Ahmad al-Hayali, è stato ucciso a seguito di un suo coinvolgimento in un raid aereo statunitense. La notizia, tuttavia, ha richiesto diversi giorni prima di essere confermata. Il portavoce USA Ned Price ha dunque dichiarato: «Fadhil Ahmad al-Hayali, noto anche come Hajji Mutazz, è morto mentre viaggiava su un veicolo diretto a Mosul, in Iraq, insieme a un altro operativo conosciuto come Abu Abdullah. La sua morte è destinata ad avere un impatto negativo data la sua influenza sulle finance, i media, le operazioni e la logistica dell’ISIS». La CNN (emittente televisiva USA) ha riportato che, a seguito di una segnalazione dell’intelligence, un drone avrebbe sganciato una bomba su una macchina a bordo della quale viaggiava il suddetto leader jihadista: il governo americano ne è certo e non dubita di quanto accaduto.
Parallelamente, l’ISIS ha preso con se la “Sposa del deserto”, cioè Palmira, antica capitale dell’impero siriano: ivi era a capo dei lavori un uomo, Khaled Asaad di 82 anni, eroe riuscito a mettere in salvo diverse statue risalenti al periodo romano. Gli jihadisti lo hanno catturato e torturato per quattro settimane affinché rivelasse il nascondiglio delle sculture; non solo è poi stato decapitato davanti a una folla di uomini, ma il suo cadavere è stato anche appeso, privo della testa, ad una colonna. L’uomo aveva collaborato perfino con altre nazioni ed era rispettato in tutto il panorama mondiale. Amante dell’arte, è morto per ciò per cui aveva sempre vissuto. Ha commentato così l’accaduto – secondo quanto riportato dalla BBC – il responsabile delle antichità siriane Abdulkarim: «La costante presenza di questi criminali nella città è una vergogna e un cattivo presagio per ogni colonna e per ogni frammento archeologico lì preservato». Intanto, l’UNESCO ha dichiarato che l’ipotesi della distruzione della città, qualora si avverasse, comporterebbe «una perdita enorme per l’umanità». Ha disquisito sull’accaduto anche il Ministro della Cultura Dario Franceschini, sostenendo – secondo quanto riporta La Repubblica – che «questo orribile atto non può rimanere senza risposta». Tutta la zona è comunque già da tre mesi luogo di barbarie: in un video diffuso dall’ Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (ONDUS) vengono ripresi venticinque soldati siriani piegati sulle ginocchia con alle spalle altrettanti giovani (la cui età si presume oscilli tra i 13 e i 14 anni) che li uccidono con un colpo mirato alla nuca; sulle gradinate la folla assiste. In un’intervista raccolta da Al Jazeera, Amr al Azm, ex dirigente del Dipartimento generale dei musei e delle antichità della Siria, oggi docente di Storia del Medio Oriente e Antropologia all’Università Shawnee, in Ohio, ha affermato che gli archeologi del calibro di Asaad vengono catturati perché «ritenuti in possesso di informazioni su antichità nascoste di cui i jihadisti vogliono impadronirsi». Ha poi aggiunto: «Personalmente, conosco un archeologo che a Raqqa è stato perseguitato dall’ISIS per diverso tempo con l’intento di estorcergli informazioni su presunti tesori nascosti».
Non solo reperti archeologici siriani: è stato distrutto anche il monastero cattolico di Mar Elian nella località di al-Qariatayn, al centro della Siria. La notizia è stata diffusa dal sito online d’informazione arabo chiamato Al-Ahed mentre gli estremisti hanno diffuso un video dove demoliscono l’edificio con delle ruspe. Gli uomini del Califfato hanno anche rapito padre Jacques Murad, priore di Sant’Elian, punto di riferimento per i cattolici della zona. Il monastero, risalente al quinto secolo dopo Cristo e intitolato al protomartire cristiano Sant’Elia, ucciso dai romani, faceva parte della comunità di San Mosé, fondata dal gesuita Paolo Dall’Oglio, rapito dall’ISIS due anni fa mentre era a Raqqa. La ratio di tale mossa risiede nella posizione della località di Al Qariatayn: essa è un punto strategicamente perfetto in quanto vicino alla strada che collega Palmira al confine con il Libano, in una zona ricca di giacimenti. L’attacco all’arte non è solo un mero modo di guadagnare denaro tramite la vendita al mercato nero di tali beni, ma anche un attacco all’identità di un popolo, alle sue radici e alla sua cultura. Il Medio Oriente è stato da sempre culla della civiltà e i reperti ivi locati sono un tesoro di inestimabile valore che viene lasciato esposto alle barbarie degli estremisti islamici.
ARMI CHIMICHE – Sono state inoltre trovate, secondo quanto riferito da La Repubblica, tracce di iprite (gas mostarda), rinvenute su un frammento di un proiettile di mortaio lanciato dai soldati dell’ISIS contro i curdi. A comunicarlo per primo è stato il generale Kevin Killea, capo di Warfighting Marine Laboratory Corps. Saranno comunque fatti altri esami. I sospetti sulla composizione del proiettile sarebbero nati dopo l’attacco, il quale avrebbe provocato problemi fisici come dolori e paralisi.
Francesco Raguni
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