Dal 2014 in Libia continua ad incalzare la guerra civile tra due governi opposti. A partire dall’ottobre dello scorso anno, infatti, quando il Consiglio dei Giovani Islamici ha dichiarato fedeltà all’IS (Stato Islamico), i militanti jihadisti affiliati a tale gruppo terroristico hanno fatto il loro ingresso nella guerra riuscendo a conquistare diverse aree del Paese, tra cui la città di Sirte. L’obiettivo principale di questi guerrieri è quello di affermare il dominio del Califfato in Nord Africa e Occidente.
Alla luce di ciò si potrebbe definire l’ISIS come una vera e propria organizzazione criminale operante a livello internazionale; ad avvalorare tale tesi si aggiungono i dati dei cosiddetti foreign fighters, vale a dire i combattenti stranieri che partono per raggiungere Siria e Iraq allo scopo di unirsi agli jihadisti presenti sul luogo e combattere la loro guerra. Secondo la Relazione annuale dell’intelligence italiana, dall’inizio del conflitto ad oggi lo Stato Islamico è riuscito a reclutare circa 3.000 combattenti provenienti dall’Europa, di cui la percentuale più alta come Paese di reclutamento è rappresentata dal Regno Unito. In Italia, i foreign fighters scovati sono circa 65, così come ha riferito il capo dell’Antiterrorismo, Mario Papa, il quale ha inoltre dichiarato che nonostante «si tratti di numeri esigui, ciò che è più importante è il problema del rientro, anche perché i raid della coalizione e le crisi interne al movimento potrebbero accelerare il processo di ritorno. E questo è l’aspetto più inquietante».
È una pericolosa realtà, infatti, che i foreign fighters italiani, così come quelli europei in generale, possano circolare liberamente in ambito Shengen e facilitare così la diffusione della guerra dell’Is in tutta Europa; un esempio ne è il recente attacco al giornale satirico Charlie Hebdo di Parigi. Ma chi sono i ″combattenti stranieri″? Secondo l’intelligence si tratta di giovani musulmani arruolati via Web e nelle carceri; ed è proprio nei luoghi di detenzione che l’Antiterrorismo sta cercando di concentrare l’attenzione per prevenire il proselitismo e la conversione all’Islam radicale degli aspiranti terroristi. In questi giorni, il governo si prepara ad adottare nuove misure per contrastare il fenomeno e, così come la Francia e la Gran Bretagna, procederà con il ritiro del passaporto per tutti coloro che decideranno di arruolarsi nelle file jihadiste. Non resta che attendere e sperare che, come ha sottolineato Angelino Alfano, attuale ministro dell’Interno, «la nostra intelligence e le Procure lavorino al massimo su questo fronte».
Ester Sbona
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