Vi è chi, come il presidente francese Emmanuel Macron, di fronte alla vittoria di Donald Trump non può far altro che congratularsi “con rispetto e ambizione“. Poi vi è chi, invece, prova a gettare le basi per nuovi e sfavillanti rapporti con gli Stati Uniti. Perché, il fatto che Donald Trump entrerà di nuovo alla Casa Bianca dal prossimo venti gennaio, è ormai dato per assodato.
L’America, però, è inserita in un tessuto internazionale complesso e, in certe sue aree, il contesto è più che frenetico. Dalla Russia all’Ucraina, da Israele alla Cina. Tutti governi, i quali, hanno già teso la mano alla nuova amministrazione Trump, ancor prima che dagli Usa arrivassero i risultati definitivi.
I toni del tycoon durante tutta la campagna elettorale non sono stati pacati. Le questioni globali sono divenute le più importanti nel contesto, per quanto i temi interni come l’economia o il clima, siano pure molto importanti.
Tra gli scenari che ha atteso con preoccupazione le urne americane c’è quello del conflitto tra Russia e Ucraina. Proprio Mosca è stata tra le prime potenze a esultare per il trionfo di Donald Trump.
“Vince chi vive di amore per il proprio Paese e non di odio verso gli stranieri“, ha scritto sul suo canale Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, evidentemente critica della durezza dei rapporti tra la Casa Bianca e il Cremlino durante il quadriennio a guida Joe Biden.
Zakharova ha poi aggiunto una frecciata poco velata alla candidata democratica: “Kamala Harris aveva ragione quando citava il Salmo 30:5: “Il pianto può durare una notte, ma la gioia arriva al mattino”. Alleluia, aggiungo da parte mia“.
Sempre da Mosca arrivano, però, anche i primi dubbi sulla qualità dei rapporti tra il presidente russo Vladimir Putin e Donald Trump. “Trump ha una qualità che ci è utile: essendo un uomo d’affari fino al midollo, è mortalmente avverso a spendere soldi per vari tirapiedi e accoliti, per alleati idioti…“, ha scritto il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev.
“La domanda è quanto Trump sarà costretto a dare per la guerra. Lui è testardo, ma il sistema è più forte“, ha concluso il medesimo anticipando presunte difficoltà per il tycoon nella gestione di quel fronte di guerra al livello del Congresso.
Da Kiev, Volodymyr Zelensky si limita a sottolineare la vittoria “impressionante” e ad si augura che possa “aiutare l’Ucraina ad ottenere una pace giusta“. Su X, ex Twitter, ha poi aggiunto: “Apprezzo l’impegno del Presidente Trump verso un approccio di “pace attraverso la forza” negli affari internazionali“. Evidente però è l’apprensione per un cambio così netto nella leadership del Paese che più fortemente e più da vicino stava sostenendo gli sforzi militari ucraini.
Dal Medio Oriente, a parlare per primo è il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo, come il capo del governo ungherese Viktor Orban, ha ribadito che questa sia stata “la più grande rimonta della storia“. Ha poi sottolineato la possibilità, a queste nuove condizioni, di una “forte ripresa della grande alleanza“.
Dall’altra parte del conflitto mediorientale, Teheran non spende troppe parole. “Non importa chi diventerà presidente degli Stati Uniti“, ha affermato a portavoce del governo iraniano, Fatemeh Mohajerani. “I nostri piani sono già stati fatti“.
Un altro teatro di tensioni, questa volta commerciali, è sicuramente la Cina. Tensioni che, con l’elezione di Trump alla Casa Bianca, sono destinate ad aumentare vertiginosamente. In particolare se il tycoon metterà in pratica le sue promesse di politiche tariffarie colpirà in particolar modo l’export di Pechino.
Dal colosso asiatico, per ora, nessuno si sbilancia. “Le elezioni sono affari interni agli Stati Uniti“, ha detto la portavoce del Ministero degli Esteri, Mao Ning.
La medesima ha poi aggiunto, “La nostra politica nei confronti degli Stati Uniti è coerente e continueremo a vedere e gestire le relazioni in conformità con i principi di rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione win-win“. Per quanto riguarda i nuovi, probabili, dazi? Pechino dichiara: “Non rispondiamo a domande ipotetiche”. Ma da “se”, la questione sta sempre più diventando un “quando”.
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