Negli ultimi mesi il nostro Bel Paese ha conosciuto un grosso cambiamento della propria classe politica a causa della creazione del nuovo governo Draghi. Alcuni ruoli dell’esecutivo ormai conosciuti come il ministro della salute Roberto Speranza o il ministro degli esteri Luigi Di Maio, sono rimasti immutati. Uno degli interrogativi fondamentali che ogni italiano si pone alla creazione di un nuovo governo è: quanto hanno studiato i politici che ci rappresentano o che ci rappresenteranno?
A questa domanda intendiamo rispondere ponendone un’altra un po’ più generale: per essere un politico di successo cosa conta di più?
Alcuni studiosi ritengono che alla base della politica nazionale ci debba essere una classe politica istruita e con una grande preparazione accademica. Un’altra corrente di pensiero, invece, sostiene che ad avere la meglio nell’ambito politico non siano tanto l’istruzione o gli studi condotti ma l’abilità di comunicazione, di sintesi e il carisma.
In Italia, come ben sappiamo, facciamo molto riferimento al secondo aspetto. Solo il 68% dei membri del Senato della Repubblica Italiana ha un titolo universitario. Nella Camera dei Deputati solo il 69,95% dei membri ha un titolo universitario.
Da questi dati possiamo evincere che non si tratta di un livello molto alto di istruzione, ma di un livello intermedio che però presenta alcune particolarità. Da una parte troviamo la presenza di numerosi politici laureati anche in ambiti non proprio affini alla politica nazionale come Samuele Segoni. Dall’altra ritroviamo politici come Teresa Bellanova o Gabriele Lanzi che hanno solo la licenza media inferiore.
La figura della Bellanova infatti è stata una delle figure più criticate dell’ultimo governo Conte. Ciò ci porta a riflettere su un altro punto molto importante: conta di più la formazione “teorica” di un politico o quella “pratica“?
Se dovessimo fare riferimento alla formazione “teorica” allora la figura della Bellanova sarebbe inadatta alla funzione che ha svolto come Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. Se, invece, dovessimo tenere conto che lei da giovanissima entrò nelle organizzazioni sindacali dei braccianti e si impegnò contro la piaga del caporalato allora forse possiamo dire che l’aspetto “pratico” non è poi così tanto trascurabile.
Si noti però che sia alla Camera che al Senato c’è una cospicua presenza di “dottori” fra cui ricordiamo: Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Roberto Speranza. Si tratta di leader di partiti politici molto diversi fra loro. Ciò sottolinea che questo fenomeno non dipenda dalla posizione politica assunta rispetto al classico dibattito basato sulla divisione partitica fra destra e sinistra. Si tratta, invece, di un problema generale della politica italiana.
Confrontando l’Italia con gli altri paesi dell’UE notiamo che in Europa il numero molto di politici laureati nei loro organi istituzionali è ben più alto. In Germania, per esempio, l’unico diplomato è Tino Chrupalla. Escludendo quest’ultimo, tutti gli altri politici del Bundestag possiedono un titolo di studio universitario.
L’attuale governo, un po’ in controtendenza con le due ali del parlamento, si distingue con un’incremento della percentuale dei laureati che, in antitesi dal 78% dell’ultimo governo Conte, arriva al 92%. Solo il ministro degli esteri Luigi di Maio e il ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando non sono laureati.
Tuttavia, il nostro Paese, pur avendo alzato la propria percentuale di istruzione all’interno del proprio esecutivo, rimane sempre una delle più basse. Altri paesi come Regno Unito o Spagna presentano rispettivamente il 100% e il 94% dei laureati all’interno del proprio parlamento, una percentuale nettamente più alta di quella italiana.
Sperando nel futuro di un Italia sempre più istruita, al momento sembrano contare di più le doti caratteriali e l’attivismo giovanile in un politico italiano più che il suo titolo di studio. Nulla vieta all’Italia, un giorno, di arrivare ai livelli degli altri stati europei.
Silvia Rabuazzo
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