Denise è un’anziana signora che aveva tutti i sintomi dell’infezione provocata dal virus che oggi ha fatto perdere qualcosa a qualcuno. Tre medici e una sociologa le scrivono una lettera aperta che lei non potrà leggere. Così la sua storia fa il giro del mondo in pochi giorni. La novantenne, però, non è sopravvissuta e non a causa delle complicazioni dovute al Covid-19. Ma perché ha preferito lasciare l’ultimo letto disponibile in terapia intensiva a qualcuno di più giovane e forte, qualcuno che avesse maggiori probabilità di tornare a prendere una boccata di libertà. «Né il suo vecchio tumore quasi guarito, né la sua insufficienza cardiaca, né la sua età avanzata hanno impedito l’ammissione in rianimazione. È lei ad avere preso questa decisione, ad avere espresso una preferenza. Non voleva occupare l’ultimo posto in reparto, voleva lasciarlo a qualcuno che avrebbe potuto essere suo figlio o nipote. Cara signora Denise, lei aveva talmente bisogno di ossigeno che voleva essere certa che ne sarebbe rimasto a sufficienza per tutti», si legge su Le Monde.
Nonna Denise era ricoverata all’ospedale Saint Louis di Parigi ed è li che ha rinunciato a quell’ossigeno così vitale per lei. La «lettre à Denise» pubblicata da Le Monde, è una denuncia che aiuta a fare luce sulla questione della quantità di posti in rianimazione, in Francia, e sulle difficili valutazioni alle quali sono chiamati quotidianamente i medici. «Tornato nel reparto di rianimazione, ho provato una strana sensazione nel vedere la camera vuota che lei, Denise, avrebbe potuto occupare. La cosa incredibile è che proprio in quella stanza vuota, un altro paziente è stato ammesso neanche un’ora dopo. Non aveva il Covid ma una meningite che gli provocava convulsioni e che rendeva necessario metterlo rapidamente in coma artificiale», raccontano commossi i sanitari.
Elie Azoulay, capo-reparto di rianimazione all’ospedale Saint Louis di Parigi e fondatore di Famiréa (gruppo di ricerca sui legami con le famiglie dei pazienti), Sade Beloucif, capo-reparto di rianimazione all’ospedale Avicenne di Bobigny, Nancy Kentish-Barnes, sociologa del reparto di rianimazione all’ospedale Saint Louis e Matthieu Le Dorze, anestesista all’ospedale Lariboisière concludono la lettera destinata a Le Monde con una considerazione: «La priorità assicurata a un individuo può essere soppiantata dalla priorità data alla collettività, a condizione di preservare sempre i principi fondamentali e i valori dell’assistenza. (…). È il nostro turno, Signora, di salutarla. E grazie ancora per questo incontro così ricco di insegnamenti».
I medici parlano di una scelta presa d’accordo con il figlio della signora Denise, il quale non poteva essere fatto che di una pasta uguale a quella della madre. «Parlare con suo figlio è stato prezioso. Abbiamo condiviso, lei, noi e i suoi cari, uno stesso progetto di cure. Ci siamo presi cura di lei, per confortarla il più possibile in un momento così difficile. Se n’è andata in compagnia delle persone che amava di più. Non dimenticheremo mai la serenità e la dolcezza dei suoi grandi occhi neri. Non dimenticheremo mai che ci ha chiesto di mettercela tutta per curare i pazienti che avevano qualche possibilità in più di farcela. Le restavano pochi giorni di vita, ma il suo sorriso era quello di sempre».
Riusciremo a mantenere anche noi lo “stesso sorriso di sempre” in questo Natale non più bianco ma (quasi) rosso?
Maria Giulia Vancheri
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Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità