A ottobre 2025, il Camerun tornerà alle urne per eleggere il suo presidente. Ma il voto, lungi dall’essere una semplice competizione politica. Si profila come una resa dei conti tra passato e futuro, tra autoritarismo consolidato e una società che, seppur frammentata, chiede voce, trasparenza e autodeterminazione. A rendere il clima ancora più teso è la recente ufficializzazione della ricandidatura di Paul Biya, storico presidente del Camerun, che a 92 anni ha annunciato di voler guidare ancora una volta il Paese. In carica ininterrottamente dal 1982, Biya è oggi uno dei capi di Stato più longevi al mondo. Il suo ritorno in pista, però, avviene in un contesto profondamente mutato: segnali di modernizzazione elettorale si intrecciano con accuse storiche di brogli e un conflitto interno irrisolto che continua a spaccare il Camerun in due anime inconciliabili.
ELECAM, l’ente camerunese incaricato di gestire le elezioni, ha recentemente annunciato l’introduzione di 1.000 nuovi kit biometrici per la registrazione degli elettori. Secondo il direttore generale, Erik Essoussè, queste apparecchiature di ultima generazione – dotate di scanner per impronte digitali ad alta definizione, webcam, pannelli solari e stampanti ad alta capacità – dovrebbero garantire maggiore velocità, sicurezza e affidabilità nel processo di registrazione e identificazione dei votanti.
Questa modernizzazione tecnologica arriva dopo anni di critiche per l’obsolescenza dei precedenti dispositivi, che risalivano in parte al 2012. ELECAM spera che la nuova attrezzatura aiuti a “rafforzare l’integrità del registro elettorale”, da sempre oggetto di sospetti e contestazioni, in particolare da parte dell’opposizione. Il timore è che l’apparato tecnico venga impiegato per legittimare risultati predeterminati o per escludere gli oppositori con metodi sofisticati ma poco trasparenti.
In questo contesto, ELECAM ha firmato anche un accordo con le Nazioni Unite per promuovere elezioni “inclusive, pacifiche e trasparenti”. Tuttavia, resta forte lo scetticismo su quanto questa “rivoluzione digitale” possa incidere concretamente in un sistema politico dove il potere resta fortemente centralizzato e le istituzioni poco indipendenti.
ELECAM forma il personale all’uso dei nuovi 1.000 kit biometrici per migliorare la trasparenza del voto in vista delle presidenziali del 2025. (Fonte: Biometric Update).
Mentre il dibattito politico si concentra sulla ricandidatura di Biya e sull’efficienza delle nuove tecnologie elettorali, nel sud-ovest e nel nord-ovest del Camerun continua a covare un conflitto ben più profondo: la crisi tra la popolazione anglofona e il governo centrale, espressione del blocco francofono.
Il cuore della disputa risale al periodo post-coloniale. Dopo la spartizione del Camerun tra Francia e Regno Unito, la minoranza anglofona (circa il 20% della popolazione) fu integrata nel nuovo Stato unitario, ma perse nel tempo l’autonomia giuridica, educativa e amministrativa garantita dalla precedente struttura federale. Questo processo culminò nel 2016, con le proteste di avvocati e insegnanti contro l’imposizione di funzionari francofoni nelle regioni anglofone.
Nel 2017, Sisiku Julius Ayuk Tabe, leader secessionista, proclamò unilateralmente l’indipendenza dell’autoproclamato Stato di “Ambazonia”. Arrestato l’anno successivo e condannato all’ergastolo, Ayuk Tabe continua oggi a guidare il movimento dall’interno della prigione di Yaoundé. “Il nostro è un dovere verso le future generazioni. Siamo in lotta per la nostra sopravvivenza come popolo”, ha dichiarato recentemente in un’intervista dal carcere.
La repressione del movimento secessionista ha portato a una guerra a bassa intensità, ma altamente devastante: oltre 6.000 morti, un milione di sfollati, decine di villaggi rasi al suolo e centinaia di detenuti politici ancora in attesa di processo, spesso giudicati da tribunali militari, in palese violazione del diritto internazionale. Figure come l’attivista Abdul Karim Ali e il giornalista Mancho Bibixy Tse, noti per aver denunciato la discriminazione sistemica, sono oggi in carcere accusati di terrorismo e secessione.
La bandiera dell’Ambazonia, lo stato secessionista anglofono nel nord-ovest e sud-ovest del Camerun. (Fonte: The Guardian).
La candidatura di Biya, le innovazioni biometriche e la mancata soluzione del conflitto anglofono pongono il Camerun davanti a un bivio cruciale. Da un lato, il governo cerca di proiettare un’immagine di rinnovamento tecnologico e apertura democratica. Dall’altro, la realtà sul terreno racconta di un sistema che fatica a rinnovarsi davvero e a riconciliare le sue identità in conflitto.
Se le elezioni di ottobre si riveleranno ancora una volta una semplice conferma del potere esistente, con un’opposizione frammentata e aree del Paese escluse di fatto dalla partecipazione democratica, allora il rischio è che il Camerun continui a scivolare in una crisi istituzionale e sociale sempre più profonda.
Come ha detto lo stesso Ayuk Tabe: “Non possiamo più trasmettere alle future generazioni una vita di servitù. La nostra oscurità è lunga, ma la vittoria è sulla via”.
Fonte Immagine in Evidenza: cameroononline.org
Marco Francese
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