Sono passati 20 anni dall’attentato dell’11 settembre: un evento che ha segnato la storia, che ha cambiato gli equilibri geopolitici e che lascerà una cicatrice profonda nel mondo occidentale… e non solo.
Venti lunghi anni, sì, ma sembra ancora ieri. La vita di molti è cambiata da quel giorno, anche di chi non ha vissuto (fortunatamente) in prima persona la tragedia. Eppure, quelle immagini sono nella mente di tutti, anche di chi ancora non era nato. Come è stato vissuto quel giorno e che ricordi si hanno?
«Ricordo che stavo andando da mia nonna a mangiare un gelato. Entrato in casa mi disse “aspetta”, con gli occhi sgranati rivolti verso lo schermo. Avevo 14 anni, mi sono seduto accanto a lei. Poi prese il gelato e continuammo per ore a guardare quelle immagini. Speravo fosse la scena di un film, ma era la triste realtà. Una realtà di cui prendevo coscienza nel pieno della mia adolescenza. Non ho bisogno di rivedere le immagini, perché le ho impresse e ogni volta le “guardo” frame per frame», racconta Andrea.
Qualcuno era più piccolo, come Francesco: «Avevo quasi 5 anni, non ricordo l’esatto momento in cui è successo. Ricordo che ero a casa dei miei nonni, con buona parte della famiglia, e guardavamo il telegiornale. Ai tempi con la Mulino Bianco davano in regalo un mini set di domino colorati (i miei erano verdi). Mi colpì tanto quell’immagine che con i domino replicai la sagoma di un aereo che andava contro due torri. Chiaramente non potevo capire ancora la portata di quello che avevo visto in TV». Esperienza simile quella di Mauro, che ricorda «che giocavo con i lego davanti la tv. Facevo sempre torri altissime e le buttavo giù. Sono rimasto sconvolto nel vedere le immagini nell’edizione straordinaria del telegiornale: io giocavo, quella era realtà».
Esperienza più vissuta, invece, quella di Assunta, che ricorda così l’11 settembre: «Ero rientrata dalle ferie il giorno precedente. Si prospettava un tranquillo pomeriggio di lavoro. Nell’indolente atmosfera di fine estate, un mio collega chiacchierava con un suo amico che si trovava per puro caso davanti alla TV. All’improvviso sento pronunciare parole senza senso, frasi a metà. Incrocio il suo sguardo attonito, perso nel nulla. E poi: “sono cadute le Torri Gemelle“. Lì per lì penso a un problema strutturale, a un crollo dovuto chissà a cosa».
Poi, «la verità spaventosa che si dipana poco per volta – continua Assunta – L’amico del collega ci racconta in diretta le notizie trasmesse in tv. Non esistevano smartphone. Internet non era ancora così diffuso. Ricordo chiaramente l’incredulità generale, lo sgomento, la percezione di un’immane tragedia che si era abbattuta sul mondo. Quello stesso mondo che dalle pareti dell’agenzia ci sorrideva attraverso planisferi colorati, spiagge candide, palme e navi da crociera. E soprattutto la visione di quel tunnel spettrale che si parava davanti a chi, come me, faceva dei viaggi la propria professione».
A loro si aggiunge anche il ricordo di Alex, che non viveva ancora in Sicilia, ma a Milano. «Ero rientrato a casa dopo aver giocato nel cortile con un ragazzino. Lo ricordo bene perché già a 5 anni avevo le idee chiare su quanto mi piacesse la ciambella di mia madre, la stessa che fa oggi, e quel giorno c’era quel profumo lì. La vidi terribilmente sconvolta, alla TV passavano le immagini della tragedia, ma non le seguivo. Non ero molto attento, ma capivo fosse successo qualcosa di grave. Ricordo che corsi tra le sue braccia e ci abbracciammo, mio padre non era in casa, lavorava. Non ricordo quanto durò l’abbraccio o cosa mi disse in particolare, né per quanto tempo si susseguissero le notizie, ma riesco ancora a percepire quella profonda malinconia del momento».
Diversi, ma sempre profondi, i ricordi dell’11 settembre di Luca: «Ero molto piccolo, quasi 3 anni. Ma ricordo vivamente la giornata, in campagna, con i miei parenti. D’improvviso tutto si fermò: stavo giocando coi miei cugini e vidi tutti i “grandi” accerchiarsi attorno alla piccola televisione della cucina. Non capii molto di quella giornata: solo dopo anni, vedendo le immagini, mi resi conto».
A chiudere il quadro il racconto ironico di Carlo, in cui emerge la sua innocenza infantile, mista alla maturità di quello che oggi è un ragazzo poco più che ventenne. «Avevo cinque anni e stavo guardando la Melevisione con mia mamma. Poi ricordo che iniziò il telegiornale e mia madre restò sconvolta dalle immagini: tentò di spiegarmi senza farmi impressionare . Ma io volevo solo che riprendesse la Melevisione».
Andrea Lo Giudice
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