Il 4 dicembre sarà una data fondamentale. Non solo per la popolazione che sarà chiamata a esprimersi in merito al referendum costituzionale, ma anche per ministri, vice-ministri, sottosegretari; e poi i vertici delle aziende pubbliche, i dirigenti della Rai, le alte burocrazie, gli uffici di diretta collaborazione del presidente del Consiglio: rischiano tutti. Se vincerà il no il governo si dimetterà in blocco, se, invece, a trionfare sarà il sì, saranno in pochi i ministri che resteranno al loro posto. Il 4 dicembre segnerà una data spartiacque. Sarà un nuovo inizio indipendentemente dal risultato, ma che varierà in base a quest’ultimo. Nell’ipotesi in cui trionfi il sì, Matteo Renzi ha già pronta la fase due del suo governo. Un rimpasto, o meglio, un rimpastone. Per i meno esperti di diritto, per “rimpasto” si intende la sostituzione di uno o più ministri all’interno del governo, per motivi che vanno dalla sfiducia del presidente del Consiglio fino a malattia e morte.
Vediamo come cambierà la mappa del potere, sempre considerando la vittoria del sì al referendum, a partire da chi difficilmente manterrà il proprio posto. Fino ad oggi, a Palazzo Chigi non ci sono stati movimenti in questo senso, eccezion fatta per Federica Mogherini, (diventata Alto rappresentate dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dal 1° novembre 2014) e i centristi Maurizio Lupi e Federica Guidi, allontanati dopo essere stati sfiorati da uno scandalo familiare. Come detto, però, si preannunciano numerosi cambiamenti. Guardando ai ministri, il giudizio negativo è destinato ad abbattersi principalmente su Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, e su Marianna Madia, ministro per la Pubblica amministrazione. Entrambe sono accusate di non aver saputo gestire le riforme del loro settore. Difficile, per il momento, assistere a un allontanamento di Paolo Gentiloni (ministro degli Affari esteri), Pier Carlo Padoan (ministro dell’Economia) e Angelino Alfano (ministro dell’Interno). Tra chi rischia di fare la stessa fine della Giannini e della Madia, troviamo Dario Franceschini (ministro dei Beni, delle attività culturali e del turismo) che aspira a guidare un governo di scopo in caso di vittoria dei no; Carlo Calenda (ministro dello Sviluppo economico), e Beatrice Lorenzin (ministro della Salute), scivolata in fondo alla lista dopo la campagna sulla fertilità, definita da Renzi «Tecnicamente inguardabile». Guardando fuori dal Governo, tra coloro destinati a lasciare la poltrone troviamo il tesoriere del PD Francesco Bonifazi , tollerato fino a oggi solo perché amico della Boschi, il consigliere di Finmeccanica Fabrizio Landi, Filippo Bonaccorsi e Roberto Reggi, coordinatore della campagna delle primarie 2012.
Discorso distinto va fatto per la Rai. Luigi De Siervo fino a pochi mesi fa era in corsa per diventare vicedirettore, poi si è scontrato con Antonio Campo Dall’Orto. Renzi non l’ha protetto e De Siervo ha lasciato l’azienda, passando a Infront Italia. Lo stesso Campo dell’Orto, rivale di De Siervo, rischia di fare la stessa fine. A Palazzo Chigi non vogliono più sentire nominare il suo nome, nonostante sia stato Renzi a volerlo a viale Mazzini. Il suo futuro sarà comunque drastico dai prossimi mesi: la Rai, infatti, dovrà garantire imparzialità nella campagna referendaria, ma ogni trasmissione sarà valutata sulle dosi di renzismo. In caso di vittoria del no è certo che Campo Dall’Orto finirà sul banco degli imputati.
La stessa sorte è già toccata ai vertici di Poste, la presidente Maria Luisa Todini e l’ad Francesco Caio, e al presidente dell’INPS Tito Boeri. Chi, invece, è ancora nel limbo, in mezzo fra chi lascia e chi resta, è Graziano Delrio. Il rapporto fra il ministro delle Infrastrutture e Matteo Renzi si sono guastati quasi subito (Delrio era sottosegretario alla presidenza). Ora si è ristabilita la collaborazione. Tuttavia, Renzi teme il carisma di Delrio, i suoi buoni rapporti con il Quirinale, le gerarchie vaticane e un pezzo di PD, per questo rimane incerto cosa gli accadrà.
Passando a coloro che sono (quasi) certi della conferma, troviamo numerose personalità di livello. Iniziando da Marco Carrai e Luca Lotti, il primo amico d’infanzia e libero imprenditore prodigo di relazioni e consigli, il secondo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Seguono Maria Elena Boschi e l’avvocato fiorentino Bianchi. A questi quattro si affiancano il portavoce Filippo Sensi e l’ex comandante dei vigili urbani di Firenze Antonella Manzione, promossa a numero uno del dipartimento Affari giuridici di Palazzo Chigi. Il magistrato Raffaele Cantone, presidente dell’autorità anti-corruzione, è a un passo dall’entrare in questo gruppo. Nelle ultime settimane è intervenuto su tutto: Campidoglio, Rai, centro richiedenti asilo di Foggia, ricostruzione post-terremoto, legalizzazione della cannabis, cattedre universitarie spartite tra parenti e amici. Nei corridoi di Palazzo Chigi è iniziata a girare una voce che dice che Cantone si sta avvicinando alle poltrone del Governo. In particolare, nel suo futuro sembrerebbe esserci il ministero dell’Interno al posto di Alfano, in trasloco verso gli Esteri, sempre che Renzi si fidi ancora di lui: condizione tutt’altro che scontata.
Marco Razzini
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