La notizia è ormai ben nota a livello nazionale: lo scorso 4 giugno, lo stabile occupato che ospitava la sede principale del movimento neofascista CasaPound ha ricevuto l’ordine di sgombero, notificato dagli agenti della Digos su ordine del gip di Roma. Le accuse che gravano sulle spalle del movimento guidato da Simone di Stefano, stavolta, non si limitano all’occupazione abusiva, ma si estendono al piano ideologico includendo inoltre l’istigazione all’odio razziale (ancora non presentata, tuttavia, l’accusa di apologia del fascismo). Ripercorriamo brevemente la storia e le caratteristiche di questa controversa sede di CasaPound.
Situato nel cuore della Capitale, ex palazzo governativo al numero 8 di Via Napoleone III, lo stabile fu occupato dal nascente movimento estremista il 26 dicembre 2003. Da semplice centro sociale, diventò poi la sede nazionale del movimento estremista: da allora, CasaPound ha aperto sedi locali in tutte le regioni italiane, diffondendosi capillarmente sul territorio nazionale.
Un primo tentativo di sgombero, o quantomeno un segnale di avvertimento, risale al 6 agosto 2019: grazie a un provvedimento della sindaca Virginia Raggi, gli stessi militanti scelsero di rimuovere l’insegna in marmo dalla facciata dell’edificio, anticipando l’operazione di rimozione prevista per la mattina successiva. Già allora, l’intenzione dichiarata della sindaca Cinque Stelle era quella di arrivare a uno sgombero totale.
Per tutti i suoi diciassette anni di attività, l’edificio ha ospitato attività ricreative e culturali di chiara connotazione politica: il centro sociale ha infatti un suo gruppo musicale di riferimento, la band ZetaZeroAlfa, una compagnia teatrale e una web radio dall’eloquente nome di Radiobandieranera. L’edificio fungeva inoltre da casa popolare abusiva: al momento dello sgombero, infatti, presso lo stabile risiedevano circa venti famiglie (tutte composte da cittadini italiani di prima generazione, secondo la strategia propagandisica razzista del movimento).
Sono diverse le bizzarrie che si trovano all’interno dell’edificio, caratterizzato esternamente da un’architettura minimale e austera. Si parte dal piano terra, con la parete dedicata agli “dei del focolare”, dove figurano nomi di intellettuali di destra tra i quali gli indispensabili Gabriele d’Annunzio e Yukio Mishima, fino a scomodare figure quali lo scrittore americano Jack Kerouac. Ci sono poi la biblioteca e la sala conferenze, quest’ultima, ci tengono a specificare i militanti, usata anche per le feste dei bambini. Per raggiungere i piani alti, un ascensore tappezzato di adesivi raffiguranti svastiche e croci celtiche. Troviamo così un “ostello della gioventù fascista”, decorato con poster che recitano slogan del ventennio, da Arma la tua anima a Marciare non marcire. Scelte di stile che sembrano voler rafforzare un’immagine misticheggiante e avanguardistica del movimento, scadendo però spesso nel grottesco per i loro rimandi a un tragico passato.
Che lo sgombero di una sede tanto simbolica sia un segnale per tutti i movimenti neofascisti d’Europa, che riprendono le stesse suggestioni estetiche, oltre che le stesse pericolose inclinazioni ideologiche?
Agata Virgilio
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Classe ’99, diplomata al liceo classico, vive a Prato con la sua famiglia e i suoi amati gatti. Frequenta con qualche intoppo l’Università di Firenze e svolge vari lavoretti. Le sue passioni sono banali ma sincere: letteratura, musica punk, cinema e politica. Sogna, un giorno, di poter vivere di scrittura (il suo grande amore).