BOLOGNA – «In tempi di grandi mutamenti globali serve la politica e servono le politiche. Ecco che torna più attuale che mai la riflessione di Beniamino Andreatta». Con queste parole Enrico Letta ha introdotto la prima Andreatta Lecture ospitata nella Sala Stabat Mater della Biblioteca dell’Archiginnasio, in occasione dell’uscita del numero speciale di AREL la rivista. Attraverso un breve video, sono state ripercorse le tappe salienti della vita dello statista, passando dalla solidarietà internazionale invocata in seguito al massacro di Srebrenica fino alle profonde radici democratiche che lo hanno opposto al dilagare del berlusconismo.
Sette lezioni. Questa è il lascito che il mentore ha consegnato all’allievo Letta, sette sfumature di cosa dovrebbe essere la politica:
«Chissà cosa penserebbe oggi Andreatta di fronte alla recrudescenza dei nazionalismi ed a quello che avviene al Brennero, lui che è mancato quando l’Unione Europea sembrava in arrestabile avanzamento, quando si progettavano l’allargamento, l’euro e la costituzione»: Romano Prodi non nasconde più di qualche rammarico per come i più recenti fatti di cronaca vadano nella direzione di uno smantellamento della costruzione comunitaria. «Ma è per questa ragione che la politica non deve mai fermarsi, è una sfida che deve incessantemente guardare al futuro, come ha sempre fatto Nino, pur conservando sempre una grande coerenza di pensiero. Valori come il rigore morale e l’etica nella vita pubblica venivano prima di tutto, anche quando gli costarono dieci anni di esilio politico – ha ricordato il Professore – in seguito al discorso sul Banco Ambrosiano».
Questa linea di condotta lo hanno sempre portato a privilegiare costantemente un orizzonte temporale ampio, come dimostrano le sue battaglie per il ridimensionamento del debito pubblico (quando, invece, si lavorava nella direzione opposta) e per la difesa delle conquiste del welfare, a poco a poco sempre più scalfite. «La vera tragedia della democrazia – ha concluso l’ex Premier – è questa permanente prospettiva elettorale che ci condanna alla dittatura del breve termine. Proprio per difendere la democrazia, invece, Andreatta affermava, con buona dose di utopismo, che non bisognava curarsi delle elezioni, che l’unico cosa realmente importante era l’interesse generale e quello guardava sempre alle future generazioni».
Lorenzo Guasco
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