La storia è stata compiuta: con il referendum della scorsa domenica, l’aborto è diventato legale anche in quel di San Marino. Infatti, con una percentuale schiacciante del 77,28% delle preferenze, il sì ha stravinto sul fronte opposto del no, rendendo l’aborto legittimo a distanza di 43 anni dall’omologo referendum svoltosi in Italia.
L’aspra battaglia referendaria ha visto schierata in prima fila, a favore della depenalizzazione, l’Unione Donne Sammarinesi che ha visto culminare in un risultato positivo un lungo percorso iniziato nel 2003 quando, per prime, presentarono un disegno di legge portato avanti da Vanessa Muratori, parlamentare di Sinistra Unita.
Tuttavia, l’ampio consenso riscosso da questa consultazione referendaria stride con un elevato numero di medici obiettori ancora presenti nel territorio italiano. Infatti, la percentuale di ginecologi obiettori si attesta sul 70% in metà delle regioni del Bel Paese, ove spiccano il 92% del Molise 92,3%) e l’87% della Provincia Autonoma di Bolzano, cui si aggiunge il 43% di anestesisti obiettori che raggiunge stime vicine al 70%, se si prende in considerazione il Sud Italia.
Si tratta di numeri piuttosto alti che, spesso, si concretizzano nell’onere, per una donna che intende abortire, di doversi spostare dalla propria provincia o, addirittura, dalla propria regione, causando un ostacolo all’esercizio di un diritto riconosciuto dall’ormai antica legge 194 del 1978.
Sono varie le ragioni che determinano un così alto numero di medici obiettori; secondo l’antropologa Silvia De Zordo: “Il più scontato è la fede religiosa e la convinzione che l’embrione sia una ‘forma di vita’ da salvaguardare”. Inoltre, secondo lo stesso studio, un numero consistente di medici si dichiara obiettore non tanto per convincimento personale, quanto per evitare una “discriminazione” da parte di altri colleghi o dei primari obiettori, cui si aggiunge il fatto che l’interruzione di gravidanza è un’operazione piuttosto semplice il che, data la presenza di pochi medici obiettori, farebbe sì che i non obiettori vengano relegati solo a questo compito, castrandone le ambizioni di carriera personale.
Per di più, a differenza di altre prestazioni mediche, l’aborto non può essere praticato intramoenia (cioè in libera professione all’interno degli ambulatori degli ospedali stessi) e, quindi, i medici non possono richiedere un corrispettivo economico alle pazienti, il che scoraggia molti ginecologi ad intraprendere un percorso meno redditizio di altri.
Al di là delle varie ragioni, però, si spera che il risultato di San Marino possa riaccendere il dibattito sull’aborto anche nel nostro Paese, al fine di garantire ad ogni donna italiana, a prescindere dalla Regione o Provincia in cui vive, di esercitare senza alcun ostacolo un diritto che la legge le riconosce da svariati decenni, senza essere limitato dai convincimenti dei medici o da valutazioni di carattere eterogeneo ma che poco hanno a che fare con le esigenze di una donna che, per i più disparati motivi, intende fare ricorso all’interruzione di gravidanza.
Christian Ferreri
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