A Portland, nell’Oregon, i protestanti si sono scontrati con le forze militari. In seguito alla morte di George Floyd per mano di un agente della polizia, Portland è diventata uno dei principali luoghi di scontro tra protestanti. Le intense manifestazioni, che in alcune occasioni si sono tramutate in atti di violenza, hanno convinto Trump a inviare gli agenti federali.
Come riportato anche dal Guardian, a Portland ogni notte i manifestanti hanno occupato le strade della città più grande dell’Oregono. Dal 25 maggio scorso, dal giorno in cui George Floyd è stato assassinato, sempre più persone si sono unite alle proteste pacifiche del gruppo Black Lives Matter. La tensione tra manifestanti e polizia in più occasioni ha superato diversi limiti. Così, siapsia colpa della polizia locale, sia per causa dei manifestanti meno inclini alle manifestazioni non violente, il governo degli States ha deciso di mandare gli agenti federali per contenere le proteste. Tale decisione è stata possibile incaricando al DHS, il dipartimento per la giustizia e la sicurezza locali, con l’impegno di difendere proprietà federali, come le statue colpite nelle ultime settimane, per esempio.
Con l’intervento degli ufficiali, appartenenti alle forze dell’ordine federali e non locali, Trump è stato additato in più occasioni di essere fascista. La storia che ha, infatti, fatto suscitare maggiore disapprovazione tra i cittadini è quella del 26enne LaBella Donavan che è stato ricoverato per delle fratture sul cranio causate da munizioni non-letali.
Il danno causato da un’arma che, nella teoria, non dovrebbe causare ferite permanenti, ha portato molte persone a discutere di ciò. Qualcuno si chiedeva: «Ma è giusto che un uomo venga ferito per aver esercitato il suo diritto di parlare ed esprimere le sue idee?». La madre del giovane ha sottolineato l’urgenza dell’operazione chirurgica a cui dovrà sottostare il figlio Donavan.
Foto: Philadelphia Inquirer – Agenti federali si schierano contro i manifestanti
Dai litigi con il governo cinese, fino ai conflitti interni: protestanti anti-razzisti, l’aumento dei contagi da Covid-19 e il continuo confrontarsi di politici. L’America è in poche parole caos e disorganizzazione. E la colpa, per una posizione di ruoli e gerarchie, ricade facilmente nel presidente oggi in carica: Donald Trump.
Il presidente repubblicano, ma anche se fosse stato democratico, si trova oggi coinvolto in un fuoco incrociato dove nessuno che lo circonda è davvero suo alleato. Trump viene infatti visto, oggi, sia dai mass media sia dal cittadino americano medio, come un problema.
Le proteste sono sempre più numerose e gli scontri con la polizia non terminano. Non solo in Oregon ma anche in California, Colorado, Minnesota e New York i conflitti sembrano quasi moltiplicarsi. E qualcuno si chiede se sia tutto collegato a questo vizio di Trump di far uso delle forze dell’ordine per risolvere ogni problema. Davvero è tanto difficile per un Presidente, accettare che il Paese che rappresenta non è così perfetto? Il motto che Trump tanto vantava, il famoso “Make America Great Again”, non va a intendere che l’America debba tornare grande? Eppure il paese a stelle e strisce, in questi giorni, continua a essere a fuoco e fiamme. Non si può negare la presenza di atti di violenza nelle manifestazioni, che in più occasioni sono nate poco dopo, e durante, la conclusione delle manifestazioni pacifiche. Questo, però, non giustifica un comportamento etichettato dai cittadini come fascista. Che ne sarà di Donald Trump a novembre? Sarà davvero rieletto?
Davide Zaino Pasqualone
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