Quello di Mutlu Kaya è solo il più recente dei casi di violenza sulle donne in Turchia dall’inizio dell’anno. Qualche settimana fa la diciannovenne turca era stata aggredita, mentre rientrava in casa, da un commando di circa tre/quattro persone, delle quali si sospetta facesse parte proprio il fidanzato della ragazza; la colpa della giovane, secondo gli attentatori, era quella di aver partecipato a un talent show canoro della tv turca. Fortunatamente, la donna è riuscita a risvegliarsi dal coma, nel quale era caduta a causa del colpo ricevuto alla testa.
In Turchia, però, sono almeno cento i casi di aggressioni e delitti che, dall’inizio dell’anno, hanno visto protagoniste un numero sempre crescente di donne. Solo nel 2014 si sono registrate cifre da record per quanto riguarda i femminicidi ( oltre 300 le vittime), e spesso i carnefici sono proprio uomini vicini ad esse. Il caso di Mutlu Kaya è, in tal senso, esemplificativo, ma, purtroppo, non è l’unico. Se il governo turco, infatti, non agirà al più presto e non si avvieranno campagne di sensibilizzazione, i dati potrebbero diventare sempre più drammatici e le violenze su donne più frequenti.
Lo dimostrano vicende come quella di Emine Bas, trent’uno anni, madre di tre figli, uccisa dall’ex marito a colpi di pistola dopo anni di maltrattamenti. O, ancora, Hatice Karaca, sgozzata dal coniuge dopo due anni di matrimonio. A preoccupare, inoltre, è l’atteggiamento delle forze di polizia, la quale sovente si mostra impotente o, addirittura, noncurante e accondiscendente a vicende di questo genere. Lo sostiene Finger Yetiskin, madre di una giovane donna uccisa lo scorso marzo: la polizia avrebbe atteso circa un’ora e mezza fuori dalla porta di casa, mentre la ragazza veniva picchiata brutalmente e, infine, uccisa.
Ciò che più di tutto stupisce, tuttavia, è l’indifferenza che il governo dimostra nei confronti del grave problema che affligge la società turca. Secondo alcuni oppositori del governo di Erdogan, infatti, il politico starebbe avviando il Paese verso arcaici tradizionalismi, che insinuerebbero la disuguaglianza di genere e, di conseguenza, favorirebbero gli exploit di violenza sulle donne. Ciò meraviglia maggiormente se si pensa che la Turchia, già a partire dagli anni venti del ‘900, aveva innescato un processo di modernizzazione e laicizzazione dello Stato, con conseguente estensione di pari diritti per uomini e donne. Erdogan, al contrario, tenterebbe di ostacolare questa modernizzazione nella speranza, forse, di attirare il consenso degli elettori più tradizionalisti e conservatori.
Non ci stanno però alcune attiviste curde, le quali hanno girato la schiena al passaggio del bus del presidente durante uno dei comizi, sentendosi in seguito rivolgere degli insulti sessisti. Per tale ragione, dunque, è stata data vita a una vera e propria campagna di protesta sui social: anche migliaia di utenti su Twitter hanno deciso di “voltare le spalle” a Erdogan e alla sua politica sessista, lanciando l’hashtag #SirtimiziDonuyoruz (“voltiamo le spalle”). Sono state postate, infatti, migliaia di immagini raffiguranti ragazze, bambini, statue e dipinti celebri girati, appunto, di schiena. Mentre su Twitter si aborriscono le discriminazioni di genere, al contrario non è possibile per l’opinione pubblica restare indifferenti alle violenze che quotidianamente vengono commesse sulle donne in Turchia e nel mondo.
Debora Guglielmino
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