Era il 4 marzo 2016 quando l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, con un provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale modificava il regime prescrittivo della specialità medicinale a base di Levonorgestrel, meglio nota come la “pillola del giorno dopo”, consentendo alle donne maggiorenni di acquistare il farmaco nelle farmacie presentando un documento di identità, senza l’obbligo della ricetta medica. Analogamente, però, l’anno scorso è stata presentata una proposta di legge che estenda anche ai farmacisti la facoltà di avvalersi del diritto all’obiezione di coscienza. Ma quante sono ad oggi in Italia le farmacie che rispettano effettivamente questo obbligo? E qual è la posizione di un organo quale la Federazione nazionale dei titolari di farmacia in merito alla questione?
La pillola del giorno dopo è un metodo contraccettivo occasionale da utilizzare nelle ore successive a un rapporto sessuale considerato a rischio, per prevenire un’eventuale gravidanza indesiderata. Consiste nell’assunzione di una o due compresse di Levonorgestrel ( Norlevo® e Levonelle®) entro un massimo di 72 ore e, come chiariscono gli organi dell’Aifa e dell’Ema (Agenzia europea del farmaco), non si tratta in alcun caso di un metodo abortivo, ma di un metodo contraccettivo d’emergenza: il principio attivo di questo tipo di pillola è il medesimo contenuto nella maggior parte delle pillole contraccettive normali, consiste di un ormone in questo caso dosato fino a 30 volte tanto rispetto ai canoni normali. L’efficacia terapeutica dipende dal tempo che intercorre fra il rapporto e l’assunzione del farmaco, le maggiori probabilità di successo si hanno entro le prime 12 ore. D’altro canto l’obiezione di coscienza in ambito sanitario (l. 194/1978) è un provvedimento che esonera il personale sanitario dal compimento delle procedure e delle attività specificamente dirette a determinare l’interruzione di una gravidanza, fondando la tutela prioritaria della libertà di coscienza della persona rispetto allo Stato. Ad oggi è illegale per i farmacisti rifiutarsi di vendere un farmaco prescritto da un medico, come stabilisce l’articolo 38 del testo unico delle leggi sanitarie. I dati forniti dal ministero della Sanità mostrano come gli obiettori in Italia attualmente raggiungano percentuali molto alte: almeno il 70 % dei ginecologi italiani è obiettore, di cui si stimano in Molise il 93,3%, in Basilicata il 90,2%, in Sicilia l’86,1 % come in Puglia, Campania e Lazio.
Non sorprende pertanto che il 4 maggio 2016 i deputati di centro sinistra Gian Luigi Gigli e Mario Sberna avessero presentato una proposta di legge per estendere il diritto all’obiezione di coscienza anche ai farmacisti, poi arenatasi in commissione Affari Costituzionali alla Camera. Anche se un episodio di cronaca recente ha riportato in primo piano il dibattito sulla questione: infatti, il 15 dicembre 2016 Elisa Mecozzi, farmacista di Monfalcone imputata di omissione, è stata assolta dal Tribunale di Gorizia dopo essersi rifiutata di consegnare la pillola del giorno dopo a una cliente in possesso di una regolare ricetta medica, dichiarandosi obiettrice. Nonostante l’entrata in vigore del nuovo provvedimento, tuttora si constata un certo grado di resistenza da parte dei farmacisti nella sua messa in pratica. Un’ampia percentuale dei farmacisti lungo tutta la penisola insiste ancora nella necessità di una ricetta medica per poter acquistare il farmaco, divulgando falsa informazione. In realtà, per legge il tentativo di sottrarsi alla vendita decade del tutto nel momento in cui la cliente afferma il proprio diritto all’acquisizione del farmaco, anche tornando nello stesso punto vendita in più di un’occasione. La farmacia anzitutto costituisce un servizio pubblico per il cittadino e il ruolo del farmacista si declina come quello di un semplice intermediario per tale servizio: eventuale assistenza o diagnosi spettano a medici qualificati, i farmacisti possono solo attenersi a quanto imposto dalla professione nel loro esercizio.
La dottoressa Elisabetta Canitano, presidente dell’associazione no profit Vita di Donna, che da 12 anni fornisce consulenze gratuite e assistenza telefonica per qualsiasi problema di salute della donna, ha dichiarato secondo il suo giudizio come l’introduzione del diritto all’obiezione di coscienza anche per la figura professionale del farmacista, semplicemente costituirebbe un provvedimento atto a sottrarli al loro ruolo di semplici intermediari, trattandosi oltretutto in questo caso di un farmaco non schedato come un metodo abortivo. Mentre per la dottoressa Annarosa Racca, presidente di FederFarma (Federazione nazionale dei titolari di farmacia) analogamente «La farmacia è il primo presidio pubblico del servizio sanitario nazionale e come tale è deputato a dispensare i farmaci richiesti dal cliente, sia quelli presentati dietro ricetta medica, sia quelli che non ne necessitano», e nell’eventualità in cui fosse approvato il disegno di legge sull’obiezione di coscienza per i farmacisti «L’esercizio commerciale deve comunque rispettare l’erogazione di un servizio ai cittadini, e quindi prevedere in quel caso una figura non obiettrice accanto a una eventuale obiettrice per garantire l’equilibrio e il diritto ai farmaci».
Diana Avendaño Grassini
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