L’ultimo rapporto Ocse, “Education at glance 2017”, conferma la triste regola: in Italia non c’è futuro. Ben sotto la media dei Paesi industrializzati, su 100 ragazzi solamente 18 sono laureati. Genitori troppo permissivi, ragazzi svogliati o istituzioni poco interessate alla cultura? Un concorso di colpe che non fa bene a nessuno.
Recentemente presentato alla LUISS a Roma, il nuovo rapporto Ocse ha tradotto in numeri la situazione del nostro Paese per quanto riguarda l’educazione e l’istruzione. Su 40 nazioni analizzate, l’Italia si è classificata tra le ultime posizioni, poiché solamente il 18% degli italiani porta a termine il percorso accademico laureandosi. La media generale, invece, è del 36%, con Paesi come la Svizzera che raggiungono il 41%. Se il problema fosse solamente questo, non sarebbe così grave: i guai iniziano quando questi dati vengono messi in relazione con l’effettivo riscontro nel modo del lavoro: risulta, infatti, che il 30% dei laureati abbia sbagliato ambito di studio, preferendo una facoltà umanistica a una scientifica. Certamente, l’Italia è famosa per il suo patrimonio culturale inestimabile, dall’arte alla letteratura, ma oggi questo purtroppo non paga. Viviamo in una società indirizzata verso la nuova industria 4.0, dove le principali competenze richieste sono le cosiddette STEM (scienza-tecnologia-ingegneria-matematica). Insomma, per quanto affascinante possa essere, oggi confrontare i versi di Dante con quelli di Petrarca non ripaga, purtroppo.
Chi risente maggiormente di questa situazione sono le donne, le quali molto spesso scelgono un corso di laurea umanistico (il 71%), che prevede pochi sbocchi professionali. Inoltre, stesso diploma di laurea alla mano, risulta che le donne percepiscono retribuzioni più basse rispetto agli uomini. È stato calcolato che, nonostante esse, in media, abbiano un rendimento migliore rispetto agli uomini, la loro retribuzione è più bassa del 14%. Della serie, se sei così brava perché non sei ricca? Tuttavia, questo, più che un problema di tipo economico, risulta essere di stampo culturale, il quale dovrebbe farci riflettere. Ma se le donne non hanno colpe, vi è un’altra categoria di giovani ragazzi che, invece, dovrebbe rivedere le proprie abitudini: i«Not (engaged) in Education, Employment or Training». Questi Neet, giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro e nella formazione, in Italia sono il 26%; un dato allarmante che ci classifica al penultimo posto, davanti solamente alla Turchia.
È inutile cercare un solo colpevole per questa situazione. Sicuramente il Governo italiano ha sottovalutato la questione, investendo solamente il 7,1% della spesa pubblica per l’istruzione, per poi lanciare campagne per riportare i giovani talenti italiani volati all’estero nel Bel Paese. Piuttosto che curare, non sarebbe meglio prevenire? Pare che siano già in cantiere progetti di alternanza scuola-lavoro a partire dalle scuole superiori, e incontri di orientamento più frequenti, così che i ragazzi possano capire sia quali siano le loro attitudini reali, sia quali siano le esigenze odierne del mondo lavorativo. Indubbiamente però, anche i ragazzi, e prima di loro le famiglie, dovranno metterci impegno. Se il 26% dei giovani fa parte della «Generazione Neet» non è colpa di chi si trova al governo, ma di una scarsa educazione, che parte da molto più in basso: le mura di casa.
Sara Forni
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