In questi giorni il tema “terremoto” è più attuale e presente che mai. Dal 24 agosto 2016 a pochi giorni fa, le scosse che hanno stravolto il centro-italia, radendo al suolo interi paesini secolari, sono state innumerevoli. Dalle tante vite distrutte alle centinaia di famiglia sfollate, le ipotesi sul come si poteva far fronte a un disastro simile sono state delle più disparate e fare un paragone con gli altri stati sia in termine di rischio sismico, sia in termine di prevenzione, è stato inevitabile.
Di fatti, qualche mese fa, nella rivista VICE Italia, usciva un articolo in cui veniva spiegato il funzionamento dei bunker antiatomici in Svizzera: delle vere e proprie cittadine sotterranee che gli elvetici tengono pronte per ogni evenienza, che sia un disastro sismico, un afflusso immigratorio nel proprio territorio o un’apocalisse causata da chissà quale evento.
Gestite dalla protezione civile e dalle autorità federali, sono migliaia i bunker sparsi nella piccola nazione alpina. Possono essere pubblici e privati e, sebbene in quantità differenti, garantiscono entrambi un’autosufficienza alimentare, energetica ed idrica. Nessun portone segreto però, tutti questi rifugi sono perfettamente mimetizzati nell’ambiente circostante e una semplicissima scala introduce all’ingresso di questi.
Sale comuni per le attività di ogni giorno, larghe cucine, immensi bagni, sale per le provviste. Sembra quasi di stare in un albergo, con tutto il necessario per far fronte a qualunque problema possa investire la popolazione. L’unica differenza? Stai al sicuro da qualunque cosa accada al di fuori: l’ambiente è totalmente ermetico, l’aria è filtrata (tramite un sistema di ventilazione che viene attivato), dei generatori permettono di sopravvivere ai casi di blackout esterno e un serbatoio di qualche migliaio di litri aiuta la popolazione nel qual caso mancasse la possibilità di approvvigionarsi dall’esterno.
Seppur mancanti della sala comando (dedicata a chi gestirà il singolo rifugio), di svariati telefoni e computer per comunicare all’esterno e più contenuti rispetto a quelli pubblici, anche i bunker privati sono molto diffusi in Svizzera. Il loro aspetto è simile alle classiche cantine di casa vostra, non contengono tutte le caratteristiche dei rifugi più grandi ma dispongono anch’essi di vari approvvigionamenti per i lunghi periodi.
Sebbene siano stati creati per un attacco atomico (negli anni ’80 vi era questa convinzione che la Svizzera sarebbe stata preda della guerra), l’uso che si è fatto è stato totalmente diverso. Dapprima sono stati ospitati degli immigrati (circa 3 mila) nelle varie zone montanare e cittadine; successivamente hanno trovato rifugio anche le vittime di frane e crolli nelle zone circostanti che hanno dovuto dire addio per sempre alle case che hanno costruito durante le loro vite.
La domanda dunque nasce spontanea: e se questi rifugi esistessero anche in Italia? Risolverebbero i problemi dei sismi che hanno dilaniato il nostro territorio in questi mesi? Ovviamente nell’immediato sì, non solo per l’ovvia comodità di un rifugio in cemento rispetto a delle poco comode tendopoli come quelle alla quale sono costretti tutt’ora, ma anche e soprattutto per la grande organizzazione che permetterebbe ai rifugiati di poter avere una collocazione fissa (ma temporanea) con approvvigionamenti pronti per i primi terribili giorni successivi al disastro specifico.
Lungimiranza e un senso dell’ordine fuori dal comune, non certo le qualità più apprezzate di noi italiani. Una legge svizzera degli anni sessanta ha reso questi bunker obbligatori per ogni palazzina e ha dato l’onere ai comuni di costruirne diversi se i posti pubblici non bastassero per l’intera popolazione della città. Ma quanto costano, effettivamente, questi rifugi? Ogni anno il governo svizzero stanzia qualche milione di euro per la costruzione e la manutenzione di questi; mentre, per chi non può costruire nel proprio edificio un rifugio, è stata riservata una tassa annuale di 676 euro con i quali poter garantire la manutenzione delle strutture pubbliche.
Non certo una soluzione definitiva dove andare a vivere, visto che l’alienazione è un rischio più che concreto in questi casi. Ma le tante persone che in questi giorni hanno perso le mura che hanno abitato per interi anni di certo avrebbero trovato un grande vantaggio nell’avere a disposizione bunker del genere. Spesso, adoperarsi per combattere concretamente i rischi di un territorio storicamente instabile come il nostro potrebbe dare i suoi frutti anche nel breve tempo. Nel frattempo i nostri “cugini” transalpini, che di tragedie così hanno avuto la fortuna di vederne poche, sono attrezzati anche per la terza guerra mondiale. Quando si dice “prevenire è meglio che curare”.
Francesco Mascali
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Proprietario, editore e vice direttore di Voci di Città, nasce a Catania nel 1997. Da aprile 2019 è un giornalista pubblicista iscritto regolarmente all’albo professionale, esattamente due anni dopo consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza, per poi iniziare la pratica forense presso l’ordine degli avvocati di Catania. Ama viaggiare, immergersi nelle serie tv e fotografare, ma sopra tutto e tutti c’è lo sport: che sia calcio, basket, MotoGP o Formula 1 non importa, il week-end è qualcosa di sacro e intoccabile. Tra uno spazio e l’altro trova anche il modo di scrivere e gestire un piccolo giornale che ha tanta voglia di crescere. La sua frase? «La vita è quella cosa che accade mentre sei impegnato a fare altri progetti»