Circa un mese fa, sul quotidiano britannico Times è stato pubblicato un articolo che spiegava in che modo gli jihadisti, lo Stato Islamico, al Shabaab e altre organizzazioni, riescono a guadagnare attraverso YouTube e le piattaforme di Google, in particolare grazie ai click degli utenti sulle pubblicità inserite nei loro video di propaganda o nei loro siti Web. È stato calcolato che, sommando il denaro ottenuto dalle visualizzazioni e quello incassato con il suddetto metodo, gli estremisti islamici incassano decine di migliaia di sterline al mese da investire nella guerra contro l’occidente.
Grandi marchi automobilistici, tra cui Jaguar Land Rover, Honda e Mercedes, famosi supermercati del Regno Unito come Waitrose, i resort di lusso Sandals nei Caraibi e istituti culturali e fondazioni come il Victoria & Albert Museum di Londra, l’Università di Liverpool e l’ONG Marie Curie che sostiene i malati terminali, sono stati tirati in ballo in questa vicenda, in quanto anche le loro campagne appaiono nei video e nei siti jihadisti. Questo accade perché utilizzando la piattaforma di Google per inserire le proprie pubblicità, non si ha solo a che fare con YouTube, ma anche con tutti quei siti Web che utilizzano Google AdWords per attivare al loro interno spazi pubblicitari e trarne profitto.
La bomba sganciata dal Times ha attivato delle vere e proprie indagini private da parte delle aziende, le quali hanno subito deciso di eliminare gli spot da YouTube e non solo, così da tutelare la propria immagine ed evitare di essere collegati a messaggi e associazioni jihadisti. Dopo Jaguar Land Rover, anche L’Oréal, TfL, Lloyds, HSBC, Channel 4 e RBS hanno eliminato le loro pubblicità e Havas UK, gruppo globale di comunicazione e marketing, sta facendo lo stesso per conto di molti dei suoi clienti. Dan Brooke di Channel 4, ha rilasciato una dichiarazione a Campaign in cui ha spiegato di essere molto preoccupato del fatto che la pubblicità della propria azienda venga associata a contenuti offensivi e di aver rimosso immediatamente tutte le campagne.
Anche il giornale Guardian ha avuto a che fare con problemi del genere, dato che i suoi annunci sono finiti all’interno di video di nazionalisti bianchi americani e di un predicatore islamista. In seguito a questa scoperta, il quotidiano ha deciso di togliere la pubblicità da Google attraverso la piattaforma exchange e ha invitato anche altre aziende a farlo. «La decisione di mettere YouTube in blacklist ‒ spiega David Pemsel del Guardian ‒ avrà conseguenze finanziarie in termini di reclutamento di abbonati che finanziano il nostro giornalismo. Data la posizione dominante di Google, DoubleClick e YouTube nell’economia digitale, molti brand pensano sia essenziale pianificare queste piattaforme. È dunque vitale che Google, DoubleClick e YouTube si aggiornino ai più alti standard di apertura, trasparenza e misurazioni nell’ordine per evitare frodi pubblicitarie e placement sbagliati in futuro. Ma è molto chiaro che questa non sia la situazione, al momento». Anche Halifax Bank, Honda e Thomson Reuters hanno visto i propri manifesti virtuali sul sito del gruppo neonazista Combat 18.
La risposta di Google, ovviamente, non ha tardato ad arrivare e Ronan Harris, managing director di Google UK, ha sottolineato quanto sia difficile controllare tutto il traffico che circola su YouTube e sulle altre piattaforme, ma che al più presto saranno introdotti cambiamenti al fine di permettere a tutte le aziende che decidono di pubblicizzarsi in questo modo di avere pieno controllo sulle proprie campagne, anche su quelle di Google Display Network. Chi, davvero, è responsabile dell’accaduto, sono, tuttavia, le agenzie pubblicitarie accusate di aver inserito le pubblicità di grandi aziende in qualsiasi video o sito senza controllarne il contenuto, al fine unico di incrementare le proprie entrate. In questo modo, quindi, gli unici a risentirne sono i brand, la cui reputazione, per errori del genere, può drasticamente crollare.
Martina Sacco
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Martina è un raro esemplare di ragazza bolognese che studia a Bologna. Dopo essersi diplomata in un istituto tecnico-commerciale, ha deciso di cambiare completamente strada e chiudere con la matematica, iscrivendosi alla Facoltà di Scienze della Comunicazione. È una biondina esuberante, estremamente curiosa, ficcanaso e con la voglia di condividere ciò che reputa interessante con più persone possibili. La sua prima e unica esperienza giornalistica risale alla terza elementare, quando un giornale bolognese pubblicò diverse frasi scritte da lei e dai componenti della sua classe.