Dal 6 agosto, al fine di contrastare in via definitiva la diffusione del coronavirus, è entrato in vigore il green pass che consente l’ingresso presso luoghi ove, tra gli altri, vengono erogati servizi di consumo quali ristorazione, palestre, piscine, centri benessere o, addirittura, per l’accesso a concorsi pubblici; il pass che, materialmente, si concretizza in un QR code, viene assegnato a chi ha completato il ciclo vaccinale, (con validità di 9 mesi dalla data dell’ultima somministrazione), a chi è stata somministrata la prima dose (valida fino all’iniezione della dose successiva), a chi si sottopone ad un tampone (con validità di 48 ore) o a chi è guarito dal Covid (con validità di 6 mesi).
Tuttavia, fin da subito, si sono verificati casistiche nelle quali soggetti che non rientrano nell’alveo di alcuna delle ipotesi sopraccitate hanno tentato di aggirare la nuova normativa, con l’acquisto di green pass falsi o l’utilizzo di green pass altrui; nel primo caso, verificatosi spesso tramite gruppi Telegram creati ad hoc, ignoti mettevano in vendita green pass farlocchi previa un cospicuo pagamento anticipato. Paradossalmente, una volta resisi conto del mancato funzionamento della certificazione acquistata illegalmente, chi l’ha acquistata ha minacciato improbabili denunce che, però, sono state controribattute dagli stessi soggetti che “spacciavano” i green pass non conformi alla normativa: “Noi offrivano fino a poche ore fa un servizio illecito, è vero. Ma la nostra identità è sempre stata ben tutelata, così come i nostri sistemi. I clienti, gli stessi che ora cercano di minacciarci, ci hanno fornito i loro documenti, i loro recapiti e hanno addirittura pagato fornendo le prove del pagamento, tutte prove che abbiamo accuratamente archiviato consci che sarebbe successo questo. Minacciare un’identità ignota quando si è totalmente disarmati, nel torto e con l’unica possibilità di prendere una denuncia penale è da stupidi.”
In questo caso, si rientra nelle norme penali di falso commesso dal privato o dal pubblico ufficiale; per cui, chi falsifica una certificazione verde rischia di incorrere nel reato di falsità materiale commessa dal privato, andando incontro alla reclusione da sei mesi a tre anni, ridotta fino a un terzo. Invece, chi usa Green pass falso senza aver preso parte alla contraffazione, commette reato di uso di atto falso), ma le pene sono ulteriormente ridotte di un terzo e, trattandosi di reati perseguibili d’ufficio, chiunque potrà denunciare la falsa certificazione, sia il personale addetto al controllo che qualsiasi altro individuo.
Inoltre, poiché sul Green pass non c’è la foto dell’utente, ma solo il Qr code, il nome e cognome e la data della vaccinazione, della guarigione dal Covid o del tampone effettuato è difficile accertarsi che l’identità sia giusta; come spiegato dalla ministra Lamorgese, il titolare o gestore di un locale non può chiedere un documento d’identità mentre può farlo la polizia amministrativa; in caso di utilizzo di certificazione altrui si commetterebbe il reato di sostituzione di persona, punito con la reclusione fino a un anno.
Dato il quadro normativo, sembra evidente che sia parossistico continuare ad ostinarsi a non sottoporsi alla vaccinazione e cercare via alternative per ottenere green pass fasulli che rischiano di causare notevoli pregiudizi di carattere penale, macchiando in maniera indelebile la fedina penali di privati cittadini che, con un minimo sforzo, potrebbero ritornare ad una quasi normalità, dopo un anno e mezzo di rinunce e sacrfici.
Christian Ferreri
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