Da una crisi deve uscire sempre qualcosa di buono; e insieme ad altro, speriamo che arrivi presto la regolarizzazione dei lavoratori stranieri. Serve un atto di civiltà verso quelle tante persone che vivono ai margini della società, privi di alloggi, di assistenza sanitaria e di qualsivoglia diritto sociale; c’è bisogno di un atto di umanità per contrastare nuove forme di schiavitù le quali calpestano la dignità della persona umana; e aspettiamo un atto di giustizia verso quegli “invisibili” che mai come oggi abbiamo visto quanto siano importanti per la nostra economia. Senza braccianti immigrati gli agricoltori rischiano di non raccogliere i frutti della loro terra, senza colf e badanti straniere, le famiglie restano sempre più sole nel loro bisogno di cure, e per l’assistenza degli anziani; mentre ad aumentare è solo il rischio di contagio del Covid-19 per quelle persone immigrate che non hanno neanche la libertà di pensare alla loro salute.
Le ragioni del cuore, i motivi di interesse, la paura che possa dilagare l’emergenza sanitaria, giustificano e rendono urgente la regolarizzazione dei lavoratori stranieri impegnati in tutti i settori dell’economia, soprattutto nell’agricoltura e nel lavoro domestico. È tempo di sgombrare il campo dai pregiudizi ideologici che per nulla si conciliano con la verità dei fatti e il bisogno di rendere la nostra società più giusta e più sicura. Ci aspettiamo che la politica non cerchi scorciatoie, adottando soluzioni pasticciate, ma abbia il coraggio di seguire il sentiero della responsabilità e del dovere. Servono permessi di lavoro temporanei che abbiano una validità di almeno sei mesi, rinnovabili, ed è necessario, nel contempo, avviare una profonda revisione del sistema d’ingresso legale nel nostro Paese.
Ormai è evidente (e serviva una pandemia per metterlo a nudo) che il fenomeno migratorio, adeguatamente regolato, non rappresenta una minaccia ma solo una risorsa per la società e l’economia italiana. Semmai bisogna accompagnare questo percorso di emersione dal lavoro nero con misure di welfare (casa, sanità, formazione) che, partendo dalla gestione di questa emergenza, impegnino il terzo settore nella generazione di benessere diffuso nelle comunità locali. Se per noi cristiani è inderogabile lo sforzo di riconoscere il vero volto di questi fratelli, per tutti, come sempre accade nella storia dell’emigrazione, è importante non dimenticare che, mentre cerchiamo braccia, vengono a noi persone.
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