A Torino, una donna ha vissuto per dieci anni sotto il dominio del marito, che le imponeva una rigida osservanza della legge islamica. La donna subiva violenze fisiche e sessuali ed era costretta ad abortire se il feto era di sesso femminile, poiché “le femmine portano solo guai“. Non poteva uscire di casa senza il marito, era sorvegliata dalla suocera e dalla cognata, e le era proibito imparare l’italiano o lavorare. Perfino le chiavi di casa le erano negate, rendendola prigioniera nella propria abitazione. Questa condizione di oppressione è durata per anni, senza che la donna riuscisse a chiedere aiuto.
La svolta è arrivata grazie al coraggio del figlio della coppia, un bambino di sette anni, che ha denunciato il padre alle autorità dopo averlo visto picchiare la madre. Nonostante la giovane età, il bambino ha avuto la forza di ribellarsi a un sistema di paura e violenza domestica.
Il giorno della denuncia, una volontaria del doposcuola ha contattato casualmente il bambino, chiedendogli perché non fosse andato all’oratorio. La risposta è stata sconvolgente: “Non posso parlare, sta arrivando la polizia perché mio padre sta picchiando mia madre”. La volontaria, scioccata, ha immediatamente allertato le autorità.
Secondo i giudici l’uomo esercitava un controllo totale sulla moglie, minacciandola costantemente e impedendole di ottenere il divorzio. La giudice, Paola Odilia Meroni, ha disposto nei confronti dell’indagato il divieto di avvicinamento alla moglie e ai figli per almeno un chilometro, oltre al divieto di comunicazione e all’obbligo di indossare un braccialetto elettronico.
La donna, grazie all’intervento delle sue avvocate, Stefania Agagliate e Silvia Bregliano, ha trovato una sistemazione temporanea sicura. Tuttavia, nonostante queste misure, la paura e l’incertezza rimangono in quanto l’uomo è ancora a piede libero alimentando timori per la sicurezza della donna e dei suoi figli.
Foto Fonte in Evidenza: Open.online
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