Dichiarato incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere un figlio nato con inseminazione artificiale. Lo stabilisce la Consulta con la deposizione di oggi, rispondendo alle questioni sollevate dal Tribunale di Luca. La sentenza stabilisce come lesione dei diritti del minore il mancato riconoscimento alla nascita e pregiudica l’effettività del suo “diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.
In oltre pregiudicherebbe anche “il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
La dichiarazione si fonda su due rilievi: il primo è la responsabilità derivante dall’impegno assunto da una coppia nel momento di ricorso al PMA . Il secondo invece è l’interesse del minore, affinché l’insieme dei suoi diritti nei confronti dei genitori valga, sia verso la madre biologica che verso la madre intenzionale.
La sentenza della Corte costituzionale legge: “Non è irragionevole né sproporzionata la legge che non consente alla donna singola di accedere alla procreazione medicalmente assistita (Pma)“. La corte ritiene nell’interesse dei futuri nati di “non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre“.
“È stato affermato un principio di civiltà giuridica nell’interesse di tutti i bambini contro una cultura legata a un unico modello di famiglia. È una sentenza storica che cambia la vita di tutte le donne che, con le compagne o le mogli, vogliono avere un figlio perché non dovranno più sottoporsi all’umiliante procedura di adozione. Tutte le impugnazioni della procura e del ministero dell’Interno che intasano i tribunali cadranno perché i sindaci hanno correttamente dato tutela con i riconoscimenti all’anagrafe“. Commenta così Vincenzo Miri, il presidente della Rete Lenford, avvocato che ha prestato servizio a due madri che hanno fatto ricorso.
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