Quando il Giro d’Italia 1956 prese il via da Milano, Fiorenzo Magni sa che quella potrebbe essere la sua ultima partecipazione. Qualche mese dopo compirà trentasei anni e nonostante il talento e la voglia di andare ancora in bici, sa di essere nella fase finale della propria carriera.
Nell’edizione precedente era stato proprio lui a trionfare, divenendo il vincitore più anziano della “Corsa rosa” (record che ancora detiene). Sa che ripetere l’impresa sarà praticamente impossibile. Una nuova generazione di ciclisti si sta prendendo la scena.
La prima parte di quel Giro ha un solo protagonista: Alessandro Fantini, che ottiene due vittorie e si tiene la maglia rosa per dieci giorni, fino alla tredicesima tappa (la Grosseto-Livorno), prima di perderla nella cronometro Livorno-Lucca del giorno dopo.
Magni non è messo male in classifica: se riesce a non accumulare un distacco troppo grande a cronometro, nelle tappe di montagna potrebbe ancora dire la sua. La Grosseto-Livorno, però, è una tappa dura, nervosa, che stressa i muscoli del corridore in un estenuante sali-scendi. Il ciclista toscano, forse, pensa già alla crono dell’indomani. Nella discesa di Volterra cade e si fa malissimo. Praticamente, non riesce a muovere il braccio sinistro. Il medico della corsa lo visita: il responso è clavicola rotta. “Devi ritirarti“. “Ci penso al traguardo” risponde Magni che in qualche modo si mette in sella e pedala fino all’arrivo.
È il giorno della cronometro, alla fine del Giro mancano ancora nove tappe. “Non puoi partire” gli dice il medico. Ma Fiorenzo non vuol sentir parlare di ritiro. Trova un escamotage: mette della gommapiuma nel manubrio in modo tale da attutire i colpi. Prende parte alla gara contro il tempo e il giorno dopo riesce a terminare anche la tappa sugli Appennini.
Il dolore, però, aumenta sempre di più. Non riesce neanche a stringere il manubrio. Serve qualcosa per far diminuire la pressione sull’articolazione, e il suo meccanico trova una soluzione: taglia una camera d’aria, la lega al manubrio e gliela fa stringere tra i denti, per non fare troppo sforzo sulle braccia.
Nella Modena-Rapallo cade di nuovo e si rompe anche l’omero, svenendo dal dolore. Lo caricano in ambulanza per portarlo in ospedale, ma prima di partire Magni si sveglia e dice al guidatore di fermarsi. Il dottore incredulo a ciò che vede gli domanda cosa fa e lui risponde: “Non vede? Raggiungo il gruppo: Fiorenzo Magni non molla“. Con una clavicola e un omero fratturati riprende il gruppo e arriva al traguardo.
Restano da fare le tappe sulle Alpi, e in particolare quella del Monte Bondone, dove i corridori, in mezzo alla bufera, finiscono la corsa semicongelati. Tra quella nebbia e neve si intravede anche Magni, con la camera d’aria stretta fra i denti. Tanti ciclisti, più giovani e sani di lui, uno dopo l’altro si ritirano. Lui no. Lui quel pensiero non lo sfiora nemmeno e riesce ad arrivare in vetta.
Il 10 giugno con due fratture e una camera d’aria fra i denti, a quasi trentasei anni, riesce a completare il suo Giro d’Italia con un incredibile secondo posto finale a tre minuti dal vincitore Charly Gaul. Da quel momento in poi Magni sarà ricordato per sempre come “Fiorenzo il Magnifico“. (Storia presa dal libro “Goals” di Gianluca Vialli, Mondadori editore)
Non paragonabile ma simile la storia di Vincenzo Nibali. Lo “Squalo dello stretto” ha rischiato, infatti, di non poter prendere parte all’edizione numero 104 del Giro d’Italia (iniziato sabato scorso) per la frattura del radio del polso destro rimediata, neanche un mese fa, dopo una caduta in allenamento.
Il due volte vincitore della corsa rosa, a trentasei anni (Magni ne aveva trentacinque), sta stringendo i denti, sperando che le sue condizioni migliorino di giorno in giorno. Il suo obiettivo? Vincere un altro Giro prima del ritiro (che speriamo avvenga il più tardi possibile). Martedì, nel finale della quarta tappa, Nibali ha sofferto lungo la salita del Colle Passerino arrivando al traguardo con due minuti e undici di ritardo dal vincitore Dombrowski. Dal gruppo dei big (vedi Egan Bernal, Mikel Landa, Aleksandr Vlasov, Giulio Ciccone) ha perso, però, soltanto 24 secondi rimanendo in una più che discreta posizione in classifica generale.
Il corridore di maggior prestigio per i colori azzurri, nonché capitano della Trek Segafredo, è venticinquesimo a due minuti e quindici dall’attuale maglia rosa (Alessandro De Marchi) e a cinquantuno secondi dal migliore dei big (il russo Vlasov).
Il siciliano, all’arrivo di Sestola, ha così commentato la sua tappa: “È stata una giornata dura per me, non nascondo che ho patito (anche il freddo). C’era da difendersi e, per come andata, sono discretamente soddisfatto. Penso infatti che oggi potesse finire anche peggio per me. È stata la prima tappa dura del Giro, il mio distacco è stato comunque contenuto. Teniamo duro e guardiamo avanti”.
Dopo quella del Colle Passerino, i ciclisti hanno affrontato, ieri, una tappa di pianura con l’arrivo a Cattolica (dove Mikel Landa è stato costretto al ritiro dopo una rovinosa caduta), per prepararsi al duro sali-scendi di oggi, con l’arrivo in salita di Ascoli Piceno. Questa sarà un’altra dura prova che Vincenzo Nibali dovrà affrontare per capire quali siano le sue reali condizioni fisiche. Il talento e la voglia di andare in bici ci sono, così come l’ottimismo e la fiducia. Speriamo anche le gambe.
Nella storia di Fiorenzo Magni o in quella, ancora da scrivere, di Vincenzo Nibali vi è racchiusa l’essenza del ciclismo, o se preferite della vita: per superare i propri limiti e gli ostacoli che si frappongono servono sudore, fatica, dedizione, ottimismo ma soprattutto quella voglia di non mollare, di non arrendersi mai!
“Prima ancora di vincere o perdere, il ciclismo è rispondere: Presente, io ci sono”. (Francesco Moser)
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Giuseppe, classe 1999, aspirante giornalista, è laureato in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali). Fin da piccolissimo è appassionato di sport e giornalismo.
Simpatiche, si fa per dire, le scene di quando da piccolo si sedeva nel bar del padre e leggeva la Gazzetta dello Sport “come quelli grandi”.
È entrato a far parte di Voci di Città, prima, come tirocinante universitario e, poi, come scrittore nella redazione generalista e sportiva. Con il passare del tempo, è diventato coordinatore sia della redazione sportiva che di quella generale di VdC. Allo stesso tempo, al termine di ogni giornata di campionato, cura la rubrica settimanale “Serie A, top&flop” e scrive anche delle varie breaking news che concernono i tempi più svariati: dallo sport all’attualità, dalla politica alle (ahimè) guerre passando per le storie più importanti, centrali o divertenti del momento.
Il suo compito in sintesi? Cercare di spiegare, nel miglior modo possibile, tutto quello che non sa! (Semicit. Leo Longanesi).