Il defunto Osama Bin Laden ha lasciato un testamento da 29 milioni di dollari per la prosecuzione della jihad, “la guerra santa agli infedeli”. Il testamento, scritto a mano in lingua araba, fa parte dei 103 documenti confiscati all’epoca dai Navy Seals dopo l’attacco al covo di Abbottabad del 2 maggio 2011, e reso noto soltanto adesso dall’ODNI, l’Ufficio del Direttore Nazionale dell’Intelligence.
L’enorme somma lasciata in eredità da Osama proveniva soprattutto dal Sudan, dove si era nascosto per cinque anni negli anni ’90, una vera e propria fortuna, la maggior parte della quale veniva dal fratello maggiore Abu Bakr Muhammad Bin Laden per conto della Bin Laden Company for Investment, la filiale del gruppo di famiglia. Aveva scritto nel testamento: «Spero che i miei fratelli, sorelle e zie materne obbediscano al mio testamento e spendano tutto il denaro che ho lasciato per la jihad, per il bene di Allah».
Da altri documenti, sottratti, emerge come Bin Laden parla pure delle fratture tra la leadership di Al Qaeda e del gruppo in Iraq, che alla fine ha portato alla creazione dello Stato islamico. Non solo, dalle carte si apprende pure che temeva di essere assassinato da un momento all’altro, preoccupato soprattutto di finire nel mirino di un drone. Infatti, da una lettera del 8 agosto 2008 aveva chiesto al padre, «nel caso dovessi essere ucciso, di pregare ed elargire continuamente a mio nome opere di carità, ma soprattutto di perdonarmi e assolvermi, qualora avessi commesso qualcosa che ti abbia recato dispiacere».
Era anche preoccupato di essere spiato: temeva infatti che la moglie portasse un microchip tra i denti. Un timore emerso in una lettera inviata dallo stesso leader di Al Qaeda in seguito ad una visita della moglie da un dentista in Iran. Le comunicazioni avvenivano senza nessuna email o contatti via internet, ma solo tramite incontri personali o attraverso corrieri fidati. Per finire, la continua richiesta di nuove sim per cellulari, con la disposizione di distruggerle sempre ogni volta che venivano usate.
Marcello Strano
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