La tecnologia, soprattutto i cellulari e le applicazioni al suo interno, si servono continuamente, grazie ad algoritmi sempre più precisi e sviluppati con l’apposito obiettivo di “spiare” la privacy di un individuo, di raccogliere informazioni sulle abitudini tecnologiche di una persona. Sulla base di questo è stata implementata un’applicazione – con obiettivi, comunque, leggermente diversi – dal nome Mindstrong, e il suo inventore, Tom Insel, medico psichiatra attivo al National Institute of Mental Health negli Stati Uniti, l’ha sviluppata con l’obiettivo principale di riuscire, in un futuro prossimo, a scoprire, e in seguito curare, lo sviluppo di patologie mentali. Ma come?
Come riporta Wired, il modo in cui scriviamo o ciò che scriviamo, quel che facciamo sul nostro cellulare, le applicazioni di cui ci serviamo, i siti Internet che visitiamo, eccetera, potrebbero essere tutti dati utilissimi a segnalare l’eventuale inizio di disturbi o di vere e proprie malattie mentali. Come ha dichiarato Insel in un’intervista, la prospettiva di Mindstrong è quella di fornire indicazioni ai medici nel caso, questi ultimi, scoprissero che quel paziente ha, o potrebbe avere, qualcosa che non va.
A tal proposito, i ricercatori di Mindstrong hanno sottoposto alcune persone al monitoraggio delle proprie “abitudini tecnologiche” con lo smartphone, constatando che informazioni all’apparenza superflue, possono in realtà dimostrarsi indispensabili al rilevamento di certi profili. Difatti, il digital phenotyping (processo che si sviluppa con la suddetta applicazione) si prefigge l’obiettivo di monitorare costantemente – pur essendo una sorta di “violazione della privacy” – consuetudini, a prima vista, innocue, ma indici di qualche squilibrio psicofisico.
Tuttavia, il progetto non era ancora del tutto completo, giacché gli assistenti di, e con, Insel, hanno voluto inserire nella ricerca perfino la potenziale interferenza di agenti esterni, nel senso che se quel paziente ha assunto, anche la sera precedente, dei drink o sostanze molto forti in grado di alterare le proprie cognizioni, quest’alterazione si andrà a ripercuotere sull’uso del cellulare. E il collegamento con dati relativi a espressioni facciali, atteggiamenti prima, durante o dopo l’utilizzo dello smartphone, il cambiamento di voce, e così via, potrebbero fornire allo psichiatra di turno un corredo informativo importantissimo al fine di definire il quadro clinico in questione.
Ci sono casi in cui un paziente decide arbitrariamente di recarsi da uno specialista per sottoporsi a delle sedute consulenziali, perché consapevole di aver bisogno di aiuto; nel caso, invece, una persona ne abbia ugualmente bisogno (per svariati motivi), ma non accetta l’assistenza di nessuno, il digital phenotyping potrebbe rilevarsi lo strumento migliore. D’altronde, i “consigli per gli acquisti”, o di download, di un’applicazione sono all’ordine del giorno, ed è raro, soprattutto per persone con ossessioni simili, non scaricare l’applicazione proposta. E unire, quindi, l’utile al dilettevole.
Anastasia Gambera
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