CHERNOBYL – Trent’anni fa, a Chernobyl, il 26 aprile 1986, esplose il reattore della centrale nucleare locale, causando un disastro di proporzioni bibliche, i cui effetti sono ancora sentiti nel nostro pianeta. Ad ogni modo, nel seminterrato dell’unità n.4 della centrale vi è una “zampa di elefante”: si tratta, infatti, di una miscela tossica che proviene direttamente dal nocciolo del reattore, il quale, a sua volta, appena esploso, produsse un enorme massa di combustibile radioattivo nucleare e parti fuse del reattore stesso. Il nome di questo composto è Corium (da core, che vuol dire nucleo in inglese, + ium, suffisso della maggioranza delle componenti chimiche presenti al suo interno); esso è una delle sostanze più tossiche esistenti al mondo.
Naturalmente fu impossibile fotografare la massa appena fuoriuscita, in quanto esporsi a essa avrebbe significato andare in contro a morte certa. Dieci anni dopo, però, nel 1996, fu immortalata. Ma non ci si limitò soltanto ad eseguire una semplice foto, si misurò pure la sua radioattività. Essa fu stimata – secondo quanto riporta Vice.com – intorno ai 10.000 Röntgen (R, ex unità di misura dell’esposizione a raggi gamma o raggi X) all’ora. Ma cosa si rischiava a stare troppo tempo nei pressi del “piede di elefante”? Dopo soli 120 secondi le cellule umane collassano totalmente (con conseguenti emorragie sparse), dopo 240 il soggetto esposto manifesta febbre, diarrea e vomito, dopo 300 morirebbe circa due giorni dopo l’esposizione. Mezz’ora nei suoi pressi equivale praticamente ad esporsi 500.000 radiografie. La missione del tempo, per le task force sovietiche, fu penetrare nel nocciolo per bonificare l’area prima che il Corium raggiungesse le acque sottostanti.
In una foto, risalente agli anni ’90, si intravede un uomo esageratamente vicino al “piede di elefante”: l’immagine fece il giro del mondo, ma si dovette attendere il 2013 per scoprire chi fosse quel prode. A identificarlo fu un giornalista americano che stava lavorando ad un articolo sul Corium. Il reporter, infatti, riuscì a trovare la didascalia originale della fotografia, che recitava: «Artur Korneev, vice direttore di Shelter Object, mentre osserva il flusso di lava del “piede di Elefante”, Chernobyl NPP. Fotografo: Sconosciuto, scatto del 1996». Si scoprì successivamente che il vero cognome non era Korneev, ma Korneyev. L’uomo (oggi 65enne) prese parte ai lavori per la costruzione dello scudo di acciaio, calcestruzzo e piombo che avrebbe dovuto impedire alle radiazioni della massa tossica di intaccare le zone limitrofe. Korneyev trascorse un grandissimo lasso di tempo a contatto con il Corium senza morire. Oggi, però, ha svariati problemi di salute e gli è stato proibito di ritornare nella zona contaminata. «Siamo stati pionieri. Siamo sempre stati in prima linea» questa la sua fiera dichiarazione per il New York Times.
Korneyev scattò anche altre foto, ma nulla si sa di chi era con lui in quel letale seminterrato. Non è scontato che l’uomo abbia ottenuto l’immagine che lo ritrae con “il piede dell’elefante” tramite un selfie, allora autoscatto. La foto, comunque, è molto granulosa a causa della forte quantità di radiazioni circostanti che hanno intaccato la pellicola del rullino della macchina fotografica. Adesso, a 30 anni da un disastro nucleare che rilasciò 400 volte più radioattività della bomba atomica sganciata su Hiroshima dagli americani contaminando 142.000 metri quadrati, lo scudo costruito dal team di Korneyev è ormai al limite e necessita di essere cambiato. Il nuovo, ai cui lavori ha preso parte il 65enne, sarà pronto nel 2017, sempre secondo quanto afferma Vice.com. Sarà composto da 32.000 tonnellate di lastre in teflon. «Le radiazioni sovietiche sono le migliori del mondo», il vecchio prode, un tempo anonimo che vide con i suoi occhi da vicino “il piede di elefante”, senza uscirne morto, ci scherza su. Del resto, dopo aver visto la morte in faccia, c’è veramente poco di cui aver paura.
Francesco Raguni
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